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La sfida ambientale. Appello della Cop al G20. L'economista Mazzucato: i soldi ci sono

Lucia Capuzzi sabato 16 novembre 2024

La sede della Cop 29 a Baku, nell'Azerbaigian

«Il mondo vi sta osservando e attende segnali chiari che dimostrino come l’azione climatica sia un tema centrale per le maggiori economie della terra». Baku, per bocca del responsabile delle Nazioni Unite sul clima, Simon Stiell, chiama Rio, dove domani e dopo si riuniranno i leader dei Venti Grandi. Dalle loro indicazioni dipenderà, in buona parte, lo scioglimento del nodo centrale della 29esima Conferenza Onu sul cambiamento climatico: la quantità di aiuti – o Nuovo obiettivo collettivo quantificato (Ncqg) – da destinare ai Paesi poveri per contrastare le emissioni e adattarsi all’aumento globale delle temperature. Urgono non più miliardi di dollari ma migliaia di miliardi. Il Sud del mondo ne chiede 1.300 l’anno.

Una cifra da capogiro sulla carta. Eppure è meno di quanto – 1.400 miliardi – le economie del G20 hanno destinato come sussidi ai produttori di combustibili fossili nel 2022. Per le nazioni vulnerabili, però, i Grandi sono poco propensi ad aprire i cordoni della borsa. Lo dimostra il difficile negoziato sul Ncqg: in una settimana, la bozza è passata dalle 35 pagine iniziali alle attuali 25. La strada per arrivare a una sintesi condivisa entro venerdì è in salita. «I soldi ci sono. Il punto è che li spendiamo molto, molto male». Parola di Mariana Mazzucato, economista tra le più autorevoli nello scenario internazionale per i suoi studi su come riformare il capitalismo per garantire una crescita giusta e sostenibile. Docente all’University College di Londra, è stata nominata da papa Francesco tra i membri della Pontificia accademia della vita (Pav) dove ha tenuto, nei giorni scorsi, un incontro su teoria e pratica del bene comune. Proprio la task force sul cambiamento climatico creato dalla presidenza brasiliana del G20 le ha chiesto una road map per la transizione ecologica, insieme a Vera Songwe. «I Paesi del G20 sono responsabili dell’80 per cento delle emissioni. Devono, dunque, farsi carico dell’80 per cento delle soluzioni. E sono perfettamente in grado di farlo. Si tratta di considerare il riscaldamento globale una questione di sicurezza nazionale. Pensiamo alle guerre: per queste ultime i soldi si trovano sempre. La Germania, che non riusciva a finanziare la transizione verde, ha speso 190 miliardi per le forniture di armi all’Ucraina», spiega Mariana Mazzucato che indica alcuni passi molto concreti per procedere in tale direzione. Primo, una riforma del sistema dei sussidi con il ri-orentamento di quelli destinati ai produttori di petrolio e gas. «Il sostegno pubblico a industria ad alto consumo di combustibili fossili, poi, andrebbe condizionato alla decarbonizzazione. In generale, invece di sovvenzionare settori specifici senza porre a questi ultimi vincoli stringenti, i governi dovrebbero aprire nuove opportunità di mercato per tutte le aziende a cui, però, esigere elevati standard in materia ambientale, di diritti dei lavoratori e di retribuzione mediante cambiamenti economici strutturali e il reinvestimento dei profitti in ricerca e sviluppo». La politica climatica, in secondo luogo, deve diventare il “core business” del governo tutto e non appannaggio di un singolo ministero. «Questo significa, però, che i governi hanno necessità di spazio fiscale per gli investimenti verdi. L’aumento delle entrate, la chiusura delle scappatoie fiscali internazionali e l’introduzione di nuovi prelievi globali sono strumenti da utilizzare in modo indipendente e collettivo». Fondamentale, la collaborazione tra Paesi per raggiungere un obiettivo globale, «anche nella forma di accordi per il trasferimento di tecnologie verdi e di sostegno alla creazione di sistemi produttivi ecologici nelle nazioni a basso e medio reddito».

Queste ultime sono vittime del cosiddetto “double jeopardy”, la doppia disfunzionalità del sistema. Su quanti, cioè, hanno meno responsabilità, l’aumento delle temperature provoca le conseguenze più estreme che, a loro volta, fanno aumentare il rischio e, dunque, il costo di prestiti e investimenti. «Per i Paesi a basso e medio reddito, saranno fondamentali ulteriori finanziamenti agevolati a lungo termine e sovvenzioni». All’apertura della Cop, il Papa ha chiesto la cancellazione del debito.

« Le nazioni povere non dovrebbero essere costrette ad aumentare il loro carico di debito per tagliare le emissioni. L’eliminazione dei passivi potrebbe essere condizionata all’impegno dei rispettivi governi a fare la loro parte in termini di spesa per i servizi essenziali e la transizione – conclude –. Conviene a tutti: l’inerzia ci porterebbe a un aumento di 3 gradi entro la fine del secolo, i cui impatti brucerebbero il 18 per cento del Pil mondiale nel 2050».