Tigrai. La guerra nascosta. Axum, ecco le tre «prove» della strage alla cattedrale
Una giovane madre e la figlia sfollate dall’area occidentale del Tigrai a Macallè
Accanto alla cattedrale dove sarebbe custodita l’Arca dell’Alleanza ad Axum è avvenuto uno dei peggiori massacri di civili del conflitto del Tigrai. Centinaia di persone, molti pellegrini, sistematicamente uccise in piazza accanto al tempio oltre a quelle eliminate casa per casa. Lo ha affermato il “report” choccante di Amnesty International di venerdì. Ma già diverse testimonianze fin dai primi di gennaio affermavano disperatamente sui social che la città santa etiope era stato teatro di massacri di civili, violenze indiscriminate e saccheggi. Ora la ricostruzione dei tragici avvenimenti, grazie al lavoro dei ricercatori, è più precisa: i crimini di guerra sono avvenuti il 28 e 29 novembre e proseguiti con minore intensità fino al 6 dicembre e li avrebbero commessi le truppe eritree chiamate dal governo etiope. Le sepolture delle vittime sono invece terminate a metà dicembre e le notizie sull’orrore sono trapelate a gennaio, quando i primi fuggiaschi a Macallè hanno provocato un diluvio di notizie anche discrepanti. Le 41 testimonianze raccolte sia nei campi profughi in Sudan dove sono fuggiti sia con telefonate dopo il ripristino dei collegamenti descrivono più sistematicamente l’orrore che anche Avvenire a partire dall’11 gennaio aveva raccontato e che non ha risparmiato l’area consacrata. Le reazioni dei due governi chiamati in causa da Amnesty – quello etiope di Abiy Ahmed, Nobel per la pace 2019, e quello alleato di Isaias Afewerki – proseguono sulla linea negazionista della presenza eritrea in Tigrai e del massacro. E contestano ad Amnesty l’attendibilità delle fonti. Le quali, però, sono decine e confermano le notizie raccolte anche da agenzie di stampa internazionali come Associated Press. Vediamo le risposte alle tre domande chiave sul massacro di Axum. Che cosa è accaduto nell’area della cattedrale? Secondo l’indagine, la strage è iniziata alle 4 del pomeriggio del 28 novembre, durante il pellegrinaggio dei fedeli per la festa di Nostra Signora di Sion. Probabilmente una rappresaglia di 24 ore di violenza sfrenata in risposta a un’offensiva del Tplf – il partito regionale tigrino che ha governato l’Etiopia fino al 2018, arcinemico di Addis Abeba e dei suoi alleati amhara ed eritrei – contro i reparti asmarini attestati sulla collina sopra la cattedrale. Che non è stata risparmiata, anche se non tutto è ancora chiaro. Un diacono ha raccontato infatti nei giorni scorsi ad Ap di militari eritrei entrati in chiesa armati e che avrebbero sparato dopo che un prete aveva intimato loro di uscire. I soldati avrebbero ucciso dentro e fuori dal tempio i fedeli in preghiera e quelli richiamati dalla campana fatta suonare dal religioso a difesa della sacra reliquia. Fisseha Tekle, ricercatore di Amnesty, ha riferito, però, di non aver trovato conferme sull’accaduto in chiesa. Invece ha verificato che gli eritrei hanno sparato in piazza e nelle vie limitrofe alla cattedrale a pellegrini e fedeli accorsi per l’Arca. Poi, la lunga mattanza in città. Dove sono stati sepolti centinaia di cadaveri? Per Amnesty in fosse comuni accanto ai templi principali senza poter celebrare le esequie e dopo che i corpi erano stati lasciati anche per giorni sulle vie. Lo ha confermato telefonicamente ad Avvenire anche un ricercatore universitario fuggito sulle alture circostanti. Al ritorno «ho trovato le strade piene di morti e ho assistito alla sepoltura di oltre 200 persone». Il rapporto di Amnesty è corredato da immagini satellitari che mostrano il 13 dicembre 2020 la terra smossa delle fosse comuni accanto alle chiese di Arba’etu Ensessa, San Michele, Abune Aregawi, Enda-Gaber, Abba Pentalewon ed Enda Eyesus. Come sono stati riconosciuti i soldati eritrei? I testimoni li hanno identificati non solo dai distintivi su divise e mezzi di trasporto, ma soprattutto per la diversa pronuncia del tigrino, per le lingue arabe parlate e dalle cicatrici tradizionali sul volto dei militari di etnia Beni Amer. Una conferma del particolare dell’impiego ad Axum di truppe musulmane del bassopiano eritreo. Intanto, il direttore di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, ha spronato il governo Draghi a intervenire con decisione «per chiedere ad Addis Abeba pieno accesso degli aiuti umanitari e sostenere una commissione Onu d’inchiesta». Intanto i media nordamericani continuano a dare spazio alle stragi di questa guerra nascosta finora da un lungo blackout comunicativo. Sabato 27 febbraio un report riservato del governo americano pubblicato dal New York Times parlava di conflitto che conduce alla «pulizia etnica » del Tigrai. E la Cnn con una inchiesta intitolata "Massacro sulle montagne" conferma il titolo del documento raccontando della strage di 100 pellegrini tigrini, tra cui molti bambini e ragazzi, avvenuta sempre nei giorni della festa di Nostra Signora di Sion a fine novembre nel villaggio di Edaga Hamus. Secondo l'emittente statunitense, i fedeli stavano partecipando alla messa nella chiesa che sorge vicina all'antichissimo monastero rupestre di Maryam Engelat riaperto di recente grazie anche al contributo italiano. Secondo i testimoni oculari la strage è stata compiuta anche qui dalle truppe eritree che poi hanno proseguito le uccisioni casa per casa consentendo le sepolture solo il 3 dicembre e minacciando di uccidere chi chi tra i seppellitori si fosse messo a piangere. Sul fronte diplomatico domenica il Segretario di Stato americano Blinken ha ribadito che il primo passo verso la pace in Tigrai è il ritiro immediato delle truppe eritree dal suolo etiopico e ha chiesto all'Unione africana di fare pressioni al riguardo su Addis Abeba e Asmara. .
© RIPRODUZIONE RISERVATA ETIOPIA Gli eccidi il 28 e 29 novembre nella città del Tigrai che custodirebbe l’Arca dell’Alleanza Ad agire le truppe eritree. Nonostante le centinaia di corpi sepolti, i governi di Asmara e Addis Abeba continuano a negare ogni cosa Fedeli massacrati: Amnesty ora può confermare i racconti di chi ha denunciato Una giovane madre e la figlia sfollate dall’area occidentale del Tigrai a Macallè/ Ansa