Profilo. Auto, satelliti e social. Musk il Doge che vuol cambiare (e dominare) il mondo
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L’acronimo Doge, ovvero Department of Government Efficiency, è perfetto per Elon Musk. Doge come il capo del governo della Serenissima, doge come il cane giapponese di razza Shiba Inu, il meme che rappresenta la criptovaluta Dogecoin da lui prediletta; e doge come la smisurata ambizione di cambiare, dominare e mutare per sempre il mondo. Per il momento Musk si dovrà accontentare della guida del dipartimento per l’efficienza governativa in condivisione con Vivek Ramaswamy, ex candidato repubblicano alle presidenziali americane e co-fondatore di Strive Asset Management.
Ma l’ingresso nel team di governo è la dimostrazione che Musk è subito passato all’incasso. Non ne fa mistero Donald Trump: «Elon – fa sapere – è destinato ad aprire la strada alla mia Amministrazione per smantellare la burocrazia federale, sforbiciare le regole in eccesso, tagliare gli sprechi e ristrutturare le agenzie federali». Ovvero rendere l’Amministrazione americana più efficiente e non più imbrigliata dai troppi freni normativi e regole che ne ostacolano il raggio di azione. Significativo anche il soprannome affidato al nuovo dipartimento: «Manhattan Project», scoperta quanto provocatoria rievocazione del progetto che portò alla nascita della bomba atomica americana. «Manderemo onde d’urto attraverso il sistema e contro chiunque sia coinvolto nello spreco del governo», promette Musk. Ma l’Elon Musk “governativo” non è che pallido simulacro del Musk visionario, temerario, inopportuno, gaglioffo e spudorato come quando interviene impunito a gamba tesa negli affari di uno Stato sovrano come l’Italia o quando offende platealmente intere etnie, comunità, alleanze. In questa dissociata deriva narcisistica si cela anche l’Elon Musk benefattore dell’umanità. Il suo orizzonte è l’infinito. E all’infinitezza umana Musk guarda con un’ostinazione dai tratti prometeici che è pari alla sua hybris. Non ci sono limiti alla portata delle sue aspirazioni e – a suo dire – l’umanità deve essergli grata. In compenso provvede subito a consolare gli impauriti e i dubbiosi: «Sto lavorando a un progetto per rendere immortali gli esseri umani».
Da quando ventidue anni fa ha fondato SpaceX con l’obiettivo di ridurre i costi dei lanci spaziali e rendere possibile l’esplorazione e la colonizzazione di altri pianeti, non si è più fermato. Nel 2004 ha comprato e rilanciato Tesla, azienda di veicoli elettrici, oggi oggetto di culto in tutto il mondo, poi ha creato Starlink, costellazione di migliaia di satelliti che di fatto garantiscono una rete Internet a livello globale valida anche negli scenari di guerra: primi beneficiari gli ucraini, che in questo modo hanno potuto monitorare gli spostamenti delle truppe russe, e subito dopo i palestinesi di Gaza. L’idea però è quella di dotare tutta la popolazione mondiale di internet gratuito per tutti.
Non basta. Dieci anni fa Musk ha creato OpenAI, società di intelligenza artificiale, ma il progetto è già stato superato e Elon pensa a un’interazione fra intelligenza artificiale e corpo umano, compito assegnato nel 2016 a Neuralink e ora confluito in “xAI”, società dedicata all’intelligenza artificiale generativa.
Cinquantatré anni, sudafricano con cittadinanza canadese naturalizzato statunitense, Musk vanta fra i suoi primati quello di essere attualmente l’uomo più ricco del mondo (Forbes gli assegna un patrimonio di 318 miliardi di dollari).
Il fine dichiarato di Musk è «il bene dell’umanità», per raggiungere il quale non si pone limiti. Come quando ha acquistato a prezzi da capogiro il social media Twitter per poi ribattezzarlo “X” e decapitarlo licenziando l’80% del personale, facendone una navicella corsara a bordo della quale chiunque può scrivere ciò che vuole senza alcuna barriera, linguistica, morale, civile. Comprese le decine di migliaia di fake news grazie a cui “X” ha contribuito a creare consenso attorno a Donald Trump e grande scompiglio fra le fila dei democratici, invasi da false informazioni sul pensiero di Kamala Harris e sulle date dei suoi spostamenti.
Complice la sfrontata fortuna come imprenditore e innovatore, Elon Musk è un seduttore nato. Piace al turco Erdogan come ai numerosi leader dei Brics, il rampante Sud del Mondo guidato da Cina, India, Russia, Brasile, Sudafrica e da una catena di nuovi promettenti Paesi che cercano un posto alla tavola dei ricchi.
Quanto a Donald Trump, quello fra il tycoon newyorkese e Musk non è stato amore a prima vista. In passato Musk ha oscillato fra i dem e i repubblicani per poi riapprodare fra le braccia di Trump dopo aver delocalizzato le sue aziende trasferendole dalla Silicon Valley al più fiscalmente conciliante Texas. Non scordiamoci che Musk tiene moltissimo al proprio portafoglio: in un anno le sue aziende hanno ottenuto contratti per oltre 3 miliardi di dollari con il governo federale. Si presume che il trend continuerà con l’Amministrazione Trump.
Fra la colonizzazione di Marte e l’incarico che il presidente designato gli ha assegnato nella nuova squadra che prenderà servizio a gennaio, Musk si è allargato a dismisura guadagnandosi una rilevanza mediatica che qualche volta ha messo in ombra lo stesso Trump. Nessuno può dire se questa rutilante condivisione del palcoscenico durerà in eterno.
In compenso Trump e Musk sembrano condividere una fastidiosa repulsione nei confronti della democrazia, così come il vecchio pensiero occidentale l’ha finora concepita. Per questo millantano familiarità con Vladimir Putin, Xi Jinping o il satrapo nordcoreano Kim Jong-un, autocrati che non nascondono il fatto di essere leader di democrature , governi autoritari travestiti da democrazie.
Apparentemente, quelli come Musk (e il codazzo di miliardari come il tycoon di Amazon Jeff Bezos prontamente accorsi alla corte di Trump), si accontentano di autodefinirsi un’oligarchia liberale, su modello dell’Atene di Pericle. Ma non è vero. Quello che vogliono è semplicemente il potere assoluto assicurato da una ricchezza inestimabile. Per il bene dell’umanità, s’intende.