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Il caso. Gli australiani sono raddoppiati, ma il 90% si concentra a Melbourne o Sidney

Simona Verrazzo mercoledì 8 agosto 2018

Melbourne (Ansa/Ente turismo australiano)

Venticinque milioni di abitanti per un Paese grande 25 volte l’Italia. In Australia è “maxi festa” per il traguardo demografico che lo rende una delle nazioni più vaste del mondo ma con meno densità. A renderlo noto è il Australian Bureau of Statistics. A consentire alla nazione di raggiungere lo storico giro di boa, raddoppiando la popolazione in meno di 50 anni, sono stati i flussi migratori.
Questi si inseriscono in una lunga storia: l’Australia è da sempre meta di popolazioni che decidono di costruire là, a migliaia di chilometri di distanza, il proprio futuro. L’Australian Bureau of Statistics spiega che l’immigrazione netta (arrivi permanenti meno partenze definitive) continua a superare, con il 62%, la crescita naturale (nascite meno morti).

Il problema è che la gran maggioranza dei nuovi arrivi si stabilisce nelle maggiori città: quasi il 90 per cento si concentra a Sydney e Melbourne. Per questo, all’interno del governo c’è un forte dibattito sulla necessità di “redistribuzione” della popolazione. Mentre i centri urbani sono sovraffollati, immensi territori interni sono tuttora quasi del tutto disabitati: un 20 per cento della superficie è dichiarata ufficialmente “deserto”. «Ci sono regioni in Australia che gridano la necessità di nuovi abitanti», ha spiegato il ministro per Cittadinanza, Alan Tudge. E ha aggiunto: «Stiamo pensando a strategie per incoraggiare la gente a trasferirsi nelle zone più spopolate della nazione».

Il tasso annuo di crescita demografica rimane all’1,6 per cento (e cresce di una persona ogni 83 secondi): il più alto tra le nazioni del gruppo G12, i Paesi altamente industrializzati. L’Australia ha impiegato 23 anni per passare da 15 a 20 milioni di abitanti, mentre per arrivare da 20 a 25 milioni ne sono bastati soltanto 14. L’ultimo milione, si legge sull’Australian Bureau of Statistics, si è aggiunto in tempo record, poiché nel 2016 si era toccata quota 24 milioni.

L’immigrazione resta sempre il motore della crescita demografica in Australia, anche se cambiano i paesi di provenienza. Dall’inizio del XXI secolo, a migrare sono soprattutto cinesi, indiani e filippini, mentre sono in diminuzione gli immigrati “storici”, britannici e neozelandesi. Per categoria di visti, il maggior gruppo di arrivi è quello degli studenti internazionali, con la Cina che ne guida la classifica.

Significativa anche la comunità italiana, con 25.000 arrivi italiani all’anno. Il nostro Paese è tra i primi dieci di provenienza, superando Sudafrica, Malesia e Scozia. Nel prossimo futuro, però, si prevede una “frenata”, non brusca, alla crescita demografica: secondo le stime, i 26 milioni non verranno raggiunti prima di quattro anni.

Nei calcoli statistici non vengono considerate le centinaia di migliaia di migranti di persone che tentano di entrare in modo irregolare in Australia, via mare, attraverso l’Isola di Natale, più vicina all’Indonesia che alla madrepatria. In materia migratoria Canberra ha una delle leggi più restrittive (e contestate del mondo). Il tema che è stato al centro dei programmi sia dei laburisti sia dei conservatori. La posizione portata avanti in questi ultimi anni è il divieto totale per gli equipaggi delle “people-boat” – i disperati in arrivo via mare – di mettere radici sul territorio australiano.

Tutti, senza distinzione di sesse, età o condizione di salute, vengono deportati in campi esterni al Paese, in base ad accordi con la Papua Nuova Guinea e Nauru, mentre il programma con la Cambogia si è arenato appena cominciato. Ma ormai da tempo le organizzazioni per i diritti umani denunciano le condizioni «inumane» delle strutture di accoglienza, dove sono frequenti proteste e suicidi. Papua Nuova Guinea ha dichiarato incostituzionale il campo sulla propria isola di Manus, mentre in Australia si moltiplicano le manifestazioni di proteste contro la detenzioni dei migranti.