Afghanistan. Strage di donne a Mazar, tra loro un'attivista in attesa di espatrio
Frozan Safi
Scorre il sangue delle afghane, scorre sui loro corpi crivellati, mentre versioni discordanti sulle circostanze della loro morte si moltiplicano in un Paese dove è sempre più complicato capire cosa accada davvero. Il dominio sull’apparato statale da parte taleban è ancora incompleto e frammentato, tra frange di combattenti fuori controllo, l’ipotetica presenza tra le fila del gruppo di infiltrati che “lavorano contro il governo” (come ha avvertito tre giorni fa il leader supremo, Haibatullah Akhunzada), ma anche per la schiera di delinquenti comuni in circolazione, fuggiti dalle carceri nel caos degli ultimi mesi. La voce dei media locali, intanto, si fa sempre più flebile e soffocata, il margine di verifica delle notizie sempre più ridotto.
Resta, così, avvolta in una grande incertezza la fine tragica di quattro donne nei dintorni di Mazar-I-Sharif, capitale della provincia settentrionale di Balkh. Dopo il riconoscimento dei famigliari, l’unica notizia sicura è quella della morte di Frozan Safi, attivista e docente universitaria di 29 anni. Aveva partecipato alle manifestanti in piazza a Mazar per la difesa del diritto di studiare e di lavorare delle afghane. La sorella ha raccontato di un riconoscimento del corpo avvenuto “dai vestiti”, perché “i proiettili le hanno distrutto il viso. C'erano colpi dappertutto, troppi da contare, in testa, sul petto, sulle reni e sulle gambe". Si tratta della prima morte di un’attivista per i diritti delle donne da quando i taleban hanno conquistato il Paese.
Secondo il sito del collettivo di giornaliste afghane Rukhshana Media, che ha ricostruito il caso con il Guardian, il corpo della donna, rinvenuto in una fossa, sarebbe giunto in obitorio a fine ottobre e registrato come sconosciuto. La ragazza era sparita qualche giorno prima, dopo avere ricevuto una telefonata in cui le si chiedeva di raccogliere le prove del suo attivismo e di spostarsi in un luogo sicuro. Frozan era in attesa dell'approvazione per l’evacuazione in Germania, così ha preso i suoi documenti ed è uscita di casa. I famigliari ne hanno, da allora, perso i contatti. Sarebbe stata una trappola, il peggior incubo che circola da mesi tra le attiviste a rischio: anche Avvenire, a settembre, dopo un’intervista a una giornalista della cittadina di Taluqan, aveva ricevuto dalla donna terrorizzata la richiesta di verificare l’autenticità di una proposta di espatrio, poi rivelatasi reale.
Intanto, giovedì, i cadaveri di altre due donne sono stati portati all'obitorio dell’ospedale provinciale di Balkh. Per le autorità taleban locali sarebbero stati rinvenuti con quelli di due uomini in una casa a Mazar-i-Sharif.
Secondo il giornale Hasht e Subh Daily, sarebbero invece quattro le donne “morte in circostanze controverse” nella zona, ma trovate in un fossato, non in una casa. Tra le vittime di questa ricostruzione c’è anche Frozan. Dove, quando e per mano di chi queste donne siano morte resta difficile da sapere. Due sospetti sono stati arrestati, ma ancora non è chiaro di quali omicidi siano accusati.
Contro gli assassini di Frozan e delle altre donne trucidate, un gruppo di attiviste si è riunito a Kabul, tornando a denunciare le rigide restrizioni imposte alle afghane e a rivendicare il diritto a istruzione e lavoro. Questa volta la protesta si è tenuta in un luogo chiuso, per sicurezza. Sia il collettivo Rukhshana che il sito del giornale Etilaat Roz hanno diffuso online le immagini. Dopo le notizie in arrivo da Mazar-I-Sharif, l’attivista, giornalista e scrittrice afghana Nilofar Ayoubi, si è sfogata su Twitter: “Non dovrebbe essere questo, per la comunità internazionale, il segnale che è ora di farsi avanti e mettere fine alla miseria causata agli afghani?”.