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Assedio a Gaza City. «All'ospedale al-Shifa manca tutto, morto un neonato prematuro»

Nello Scavo, inviato a Gerusalemme sabato 11 novembre 2023

L'Ospedale al-Shifa

La battaglia degli ospedali potrebbe essere per Netanyahu quello che i bambini ucraini deportati sono per Putin, indagato all’Aja. Le indagini della Corte penale internazionale puntano ai capi di Hamas per la brutale mattanza del 7 ottobre in Israele, con 1.200 morti e oltre 200 ostaggi. Ma viene investigata anche la risposta israeliana e le stragi di civili palestinesi, con gli Usa che reputano attendibili le stime prudenziali di almeno 10mila morti a Gaza.

Se nel Sud gli scontri sono casa per casa, a Nord verso il Libano e a Jenin, in Cisgiordania, Israele sta inviando rinforzi, prevedendo nuove operazioni che rischiano di far tracimare il conflitto.

«Ci stanno uccidendo qui, per favore fate qualcosa», è il messaggio che un infermiere di Medici senza frontiere (Msf) è riuscito a trasmettere dal seminterrato dell’ospedale di al-Shifa, dove lui e la sua famiglia stanno cercando riparo. Una Ong israeliana ha parlato di un neonato prematuro morto proprio nel nosocomio. «Chiediamo al governo israeliano di cessare questo assalto senza tregua al sistema sanitario di Gaza», è l’appello di Ann Taylor, capomissione di Msf nei Territori occupati palestinesi. L’Esercito ha risposto promettendo di voler evacuare i neonati curati nelle incubatrici per portarli più al sicuro, ma senza aver precisato dove.

La Striscia è pressoché isolata. Gli operatori sanitari della Mezza Luna Rossa riescono a comunicare grazie a un ponte radio. Sui canali vhf contattano gli uffici di Ramallah, in Cisgiordania, e da qui entrano in contatto con il quartier generale della Federazione internazionale della Croce Rossa (Ifrc) a Ginevra. L’ultimo allarme dall’ospedale al-Quds, gestito dalla Croce Rossa, è di ieri pomeriggio. «Ho parlato con i colleghi pochi minuti fa – racconta ad Avvenire il portavoce della Federazione internazionale di Croce Rossa, Tommaso Della Longa – ma le comunicazioni sono difficilissime. Hanno dovuto spegnere il generatore principale, ne stanno adoperando uno minore per alimentare solo le incubatrici e le terapie intensive. Il dipartimento di chirurgia è chiuso, la radiologia anche. L’impianto principale per la fornitura di ossigeno ai degenti è stato spento e vengono usate le bombole, per non consumare energia. Scarseggiano acqua e cibo per il personale e per i 500 pazienti».

Da sei giorni la struttura è tagliata fuori. Le ambulanze non possono muoversi. Edifici e strade circostanti sono in macerie, bersagliati da esplosioni su obiettivi nei dintorni, ma i cui “effetti collaterali” hanno danneggiato i reparti. «Se va avanti così arriverà presto il momento in cui bisognerà staccare incubatrici e terapia intensiva. Questione di ore, qualche giorno al massimo», dice sconfortato Della Longa. Da Ginevra l’appello è disperato: «Chiediamo accesso a tutte le strutture e a tutta la Striscia, le persone nel Nord non ricevono nessun aiuto, bisogna incrementare il sostegno umanitario». In due settimane sono stati fatti entrare circa 800 camion carichi di aiuti, «ma neanche una goccia di carburante: prima della guerra ne entravano 500 al giorno», ricordano da Ginevra.

I contatti con le parti rimangono confidenziali. Israele ha più volte dichiarato che nella struttura si annidano uomini di Hamas. «Non ho informazioni né riscontri a riguardo. In ogni caso – ribadisce il portavoce della Ifrc – la regola principale è che gli ospedali sono “santuari” e devono essere messi al riparo sempre: vale per entrambe le parti». E se in mezzo ai civili si nascondessero dei miliziani? «Vigono i principi di proporzionalità e distinzione. Ammesso che Israele abbia informazioni sulla presenza di Hamas – chiarisce Della Longa –, non è che automaticamente l’ospedale diventa un obiettivo militare».

Dall’Europa arriva l’appello di chi, come l’Unione delle comunità islamiche d’Italia (Ucoii) chiede al governo di Roma di intervenire, come ha tentato di fare con la piccola Indi nel Regno Unito, per salvare la vita ai neonati negli ospedali di Gaza. Ma nel silenzio del sabato di Gerusalemme, i pochi commenti ai crocicchi riguardano gli slogan saliti da alcune piazze europee. “Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera”, gridato dai manifestanti, si riferisce alla terra compresa tra il Giordano e il Mar Mediterraneo. Invocazioni che sanno di antisemitismo perché nel mezzo c’è lo Stato di Israele di cui viene implicitamente evocata la sparizione. Abbastanza perché Netanyahu si senta legittimato a intensificare gli attacchi.