L’Asia affila le armi contro “Big Pharma”. Il rifiuto dell’India alla multinazionale svizzera Novartis di brevettare una versione “generica” del suo farmaco anti-tumorale Glivec ha fatto impennare il contenzioso tra i Paesi emergenti e i colossi farmaceutici. Due filosofie e due pratiche che si scoprono radicalmente opposte.L’Asia, forte dei numeri della sua demografia, con una popolazione ancora consistente sotto o attorno alla soglia della povertà, ma insieme con crescenti capacità tecnologiche e scientifiche, ha deciso di alzare la posta. E gli obiettivi. A sostenerla il suo crescente peso economico e culturale: il continente è oggi, come non era mai accaduto in passato, in grado di imporre le regole. Questo vale soprattutto per le nazioni che fanno parte dei Brics, come India e Cina. Ma c’è anche un terzo “incomodo”: la Thailandia, Paese dalla vocazione agricola divenuto una quasi-potenza industriale e che oggi gestisce il suo fabbisogno di medicinali. A partire da quelli necessari a trasformarsi in pochi anni da Paese preda dell’incubo dell’Aids ad avanguardia nel suo contenimento.All’inizio del 2007, quando la Thailandia annunciò l’intenzione di non considerare vincolanti i brevetti per farmaci indispensabili nel trattamento dell’Hiv e di malattia cardiache, la reazione delle case farmaceutiche fu a dir poco rabbiosa. L’Abbott Laboratories, produttore del farmaco anti-Aids Keletra ritirò tutti i suoi nuovi prodotti dal Paese, privando i thailandesi di farmaci per la cura di artriti reumatoidi, malattie epatiche, patologie cardiache e ipertensione. Solo pochi mesi dopo, tuttavia, il Paese fece una scelta rischiosa ma alla fine vittoriosa. L’Abbott annunciava che avrebbe ridotto il prezzo di Keletra nei Paesi a medio e basso reddito (Thailandia inclusa) a 1.000 dollari l’anno per paziente, inferiore a quello di un generico; il produttore Usa Merck decise di tagliare il prezzo del suo farmaco antiretrovirale Efavirenz per timore che Bangkok concretizzasse la sua minaccia di violare il brevetto. Anche il colosso elvetico Novartis dovette offrire il 75 per cento di sconto sul Glivec, quando le autorità sanitarie minacciarono di consentire al governo di produrlo in fabbriche locali e di distribuirlo su base non-profit.Il Paese del Sudest asiatico, a quel tempo in recessione e sotto un governo sostenuto dai militari in cerca di un sostegno popolare, divenne così capofila di un’azione per costringere i giganti farmaceutici europei e statunitensi a rendere accessibili i loro prodotti a una fascia assai più ampia di utenti. Per arrivare a questo obiettivo, i thailandesi utilizzarono un provvedimento approvato negli anni Novanta dalll’Organizzazione mondiale del commercio. Una direttiva parte del Trips (Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) che consente ai Paesi il diritto di infrangere un brevetto e produrre da soli il farmaco oppure importare generici da altri Paesi.Altri, dentro e fuori l’Asia si sono posti in una simile posizione di confronto, spesso duro, con le multinazionali del farmaco. Tra questi Brasile, Indonesia, Malaysia, Mozambico e Zambia, soprattutto per le medicine utili a combattere Aids e altre malattie virali.A rendere diverso il caso thailandese, lo spettro di tipologie di farmaco e patologie coinvolte nell’azione governativa, ma anche l’intransigenza legata a interessi contingenti della leadership locale e la percezione di potere disporre di un ampio sostegno internazionale. Il ministero della Sanità fece allora sapere alle aziende straniere che avrebbero dovuto imparare a convivere con una semplice regola, senza tempo ma forse di origine cinese: «Minor profitto uguale a maggior profitto», ovvero «se vi accontentate di guadagnare meno su ciascuna unità, la gente ne consumerà di più».