L'intervista. Asia Bibi: «Il Pakistan ponga fine alla piaga delle spose bambine»
Asia Bibi in video collegamento con il direttore di Aiuto alla chiesta che soffre
Asia Bibi, la cristiana pachistana, divenuta a livello internazionale simbolo della lotta per la libertà religiosa, lancia un appello affinché si ponga fine al dramma delle ragazzine cristiane, rapite, convertite forzatamente all'islam e date in sposa ai loro rapitori. «So che queste ragazze sono perseguitate e faccio appello al primo ministro del Pakistan Imran Khan: per favore, aiuti le nostre ragazze perché nessuna di loro deve soffrire!», dice in un'intervista con il direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre (Acs), Alessandro Monteduro.
Acs in queste settimane si sta occupando in particolare di due casi: quelli di Huma Younus e Maira Shahbaz, ragazze minorenni costrette al matrimonio dopo essere state rapite, violentate e convertite. Altro tema particolarmente delicato, e in questi giorni tornato all'attenzione dei media internazionali, è quello della cosiddetta legge anti-blasfemia, cioè le norme del codice penale pachistano in base alle quali possono essere irrogati l'ergastolo o la pena capitale a chi si macchi di presunta blasfemia contro i simboli della religione maggioritaria. Si tratta delle stesse norme in forza delle quali Asia Bibi, madre di cinque figli, ha subito il carcere dal 2009 fino alla sentenza di assoluzione emessa dalla Corte Suprema del Pakistan nell'ottobre del 2018.
«Al momento della fondazione e della separazione del Pakistan dall'India il fondatore Ali Jinnah, nel suo discorso di apertura, ha garantito libertà religiosa e di pensiero a tutti i cittadini», ha ricordato Asia Bibi nel colloquio con Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha proseguito: «Oggi ci sono alcuni gruppi che usano le leggi esistenti ed io faccio appello al premier del Pakistan specialmente per le vittime della legge sulla blasfemia e per le ragazze convertite con la forza, perché tuteli e protegga le minoranze che sono anch'esse pachistane. Da vittima do’ il mio esempio: io ho molto sofferto e vissuto tante difficoltà, oggi sono libera e spero che questa legge possa essere soggetta a cambiamenti che vietino ogni suo abuso».
Poi una speranza, già espressa in passato più volte. «Ho un profondo desiderio di venire a visitare Roma e di incontrare il Santo Padre». Così Asia Bibi, la cristiana pachistana che, accusata di blasfemia, ha vissuto dieci anni di carcere duro e che è stata poi prosciolta e liberata. In un colloquio con il direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, Alessandro Monteduro, la donna esprime il suo desiderio di incontrare il pontefice e afferma di pregare sempre per lui «che ci sostiene nella fede». Asia Bibi è divenuto un caso internazionale simbolo della lotta per la libertà religiosa.
Asia Bibi, che dopo la liberazione ha lasciato il Pakistan e oggi vive in Canada in una località segreta per evitare possibili ritorsioni degli estremisti, nell'intervista con Acs ha parlato anche del suo rapporto con Papa Francesco. «Io ho due coroncine» del rosario «donate dal Santo Padre», ha raccontato. «Una è rimasta in Pakistan e l'altra è ancora con me ed ogni giorno recito il Rosario per la fede e per i perseguitati in Pakistan. Ringrazio il Santo Padre Francesco e Papa Benedetto che è intervenuto per me e ringrazio voi di Aiuto alla Chiesa che Soffre e anche tanti altri italiani che hanno pregato per me».
Un altro condannato a morte
Intanto, un caso più che noto di ingiusta accusa di blafemia, si è concluso con la condanna a morte in primo grado di un cristiano a Lahore, in Pakistan, al termine di un processo durato sette anni. La condanna si riferiva a messaggi inviati dal 37enne Asif Pervaiz sui social nel 2013 e per i quali è rimasto in carcere per sette anni. Lo riferisce il suo avvocato, Saif-ul-Malook, secondo il quale "giustizia non è fatta" e in tribunale "non è stato veramente provato" che abbia commesso la blasfemia, aggiungendo che presenterà ricorso all'Alta corte di Lahore. L'avvocato Saif-ul-Malook in passato fu tra i legali che difesero proprio Asia Bibi, portando alla sua storica assoluzione da parte della Corte Suprema del Pakista.