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L'incontro. Da emarginato a star dei social. Artista druso: «La mia rabbia a colori»

Anna Maria Brogi, inviata a Daliyat al-Karmel (Israele) sabato 8 giugno 2024

L'artista Sam Halaby

Se nasci in una comunità di guerrieri e hai un'indole spirituale, per non soccombere sei condannato a vincere. E sconfiggerli, con la forza dell'anima. È questa, in sintesi, la storia di Sam Halaby, giovane pittore druso diventato una celebrità sui social in Israele. Originario di Daliyat al-Karmel sul monte Carmelo nel distretto di Haifa - il più meridionale degli insediamenti di questa minoranza etnoreligiosa araba che vive ai confini tra Libano, Siria e Golan israeliano - nella casa dov'è nato e cresciuto accoglie visitatori da tutto il Paese. Molti gli chiedono un selfie. È particolarmente compiaciuto se a farlo sono famiglie druse. «Quando espongo a Tel Aviv i miei conterranei ne vanno orgogliosi, ma da bambino non era così».

L'esterno della "casa dei colori" dell'artista druso Sam Halaby - Brogi

Ultimo di dieci figli, preceduto da nove sorelle, sentiva di non corrispondere alle aspettative che la società aveva per lui. «Mia madre ricamava in casa i veli tradizionali che indossano le donne druse, a me piaceva andare a comprarle le stoffe e guardarla creare figure e motivi con i fili colorati. La gente diceva che non ero normale. Nella mentalità drusa, il maschio dovrebbe essere un guerriero, difendere la famiglia e la comunità». Non è un caso che nell'esercito israeliano ci sia un alto tasso di volontari drusi. A lui piacevano i colori e le forme. «Solo mia madre riusciva a capirmi. Ottenni da lei tempere, pennelli e una stanzetta quasi buia dove rinchiudermi con la mia passione». Oggi fotografano quella stanzetta visitatori paganti.

L'atelier del pittore da ragazzo, come si presenta oggi "a colori" - Brogi

«Da noi solo i maschi ereditano. Il nonno materno era un importante proprietario terriero. Quando avevo 13 anni attraversammo gravi difficoltà economiche e mia madre andò a chiedergli aiuto: non le diede un soldo, dicendo che l'eredità sarebbe andata ai fratelli. Quando morì, quattro anni dopo, mia madre ricevette solo, per ricordo, due jabalya», le vesti bianche tradizionali. «Le presi, le tempestai di colori e le appesi: era la mia protesta. Tutti mi dettero dell'insolente, a cominciare dagli zii. Oggi vengono a farsi i selfie con quelle jabalya».

La sala del pianoforte - Brogi

Ma il vero momento di svolta, personale e artistica, fu la perdita dell'adorata madre. Arrabbiato, incerto del futuro e fremente di disperazione, quando le sorelle gli consegnarono l'urna con le ceneri esplose: «Presi un barattolo di colore e glielo schizzai sopra. Poi un altro, e un altro ancora. Finché mi accorsi che stavo vivendo una liberazione, stavo trasformando la perdita in qualcosa di nuovo, vivo e vibrante». Non si è più fermato. Schizzare di colori il mondo che lo circonda è diventato il suo personale stile artistico. Ha trasformato quel luogo rigido e cupo che lo rifiutava in un universo di cromìe pirotecniche. Irrazionale, incontenibile, gioioso. Al bianco e il nero, con tutte le tonalità del grigio, riserva spazi distinti: il ritratto della madre, la stanza dove ricamava, gli oggetti che le appartenevano.

La stanza dove lavorava la madre, con il suo ritratto: è l'unico ambiente in bianco e nero - Brogi

«Alla morte di mio padre - racconta - ho ereditato questa casa. Avrei voluto dividerla con le mie sorelle, ma non hanno accettato perché era contrario alla tradizione. Più tardi sono riuscito a dare a ciascuna la giusta parte». Aveva due scelte: monetizzare il valore dell'abitazione o immolarla all'arte. «Non è stata una decisione facile. Ma ho seguito il cuore. Mi hanno dato del pazzo». Oggi davanti alla casa trasformata in opera d'arte parcheggiano le auto dei visitatori. Ad accoglierli, nel cortile, c'è un autobus multicolore. Al pianoterra sono esposti lavori figurativi in rilievo, traboccanti di materia. Attraversate alcune installazioni, con palloncini sgonfi in gomma colorata a rendere plastico l'effetto dello schizzo, si sale ai piani dove viveva la famiglia. Tutto è ancora al suo posto e funzionante, dal frigo ai rubinetti. E tutto è tempestato di giallo/rosso/azzurro/verde/blu, persino tazze e piatti dentro i pensili della cucina. I visitatori scattano foto compulsivamente.

Prima di salire sul tetto a terrazza - dove in omaggio ai sogni di bambino Sam ha collocato uccelli di gesso pronti a spiccare il volo e un piccolo motoscafo che fa rotta oltre il lontano orizzonte verso il mare - ci si siede in una saletta dove un filmato spiega le origini del luogo e di quell'arte.

Sam Halaby nella cucina della casa dov'è nato e cresciuto - Brogi

«Ora che ho esposto in Israele e all'estero, girato un video con Ran Danker (attore e cantante israeliano-americano, ndr) e dipinto per la Mercedes un'auto di grossa cilindrata, i miei conterranei accettano che si possa vivere di arte, anche dal punto di vista finanziario», osserva. Hanno riconosciuto in quel bambino, che per loro non era normale, qualcosa di effettivamente straordinario.

Il panorama dalla terrazza sul tetto - Brogi