Gli affari. Le maxi-forniture di armi all'Ucraina fanno ripartire la locomotiva tedesca
Mezzi blindati della Rheinmetall in esposizione in questi giorni all'Expo delle armi di Parigi
In apparenza è una buona notizia. Continental, impresa tedesca di componenti per auto, ha trovato un partner in cui ricollocare una parte degli oltre 7mila lavoratori in esubero a causa della crisi del settore. Peccato che operai e dirigenti, in particolare addetti all’innovazione, saranno assorbiti da Rheinmetall (di cui fa parte anche Rwm in Sardegna, i cui ordigni sono stati utilizzati, come hanno dimostrato varie inchieste, nella guerra in Yemen), colosso nazionale della Difesa, in pieno boom a causa del conflitto in Ucraina. Bank of America, in un recente rapporto, definisce la compagnia – insieme alla britannica Babcock – la più “promettente”, con un beneficio operativo dodici volte più alto della media del settore. Per quest’anno, l’azienda con sede a Dusseldorf prevede di incrementare il proprio giro d’affari del 40 per cento rispetto al 2023 quando il fatturato era stato di 7,2 miliardi di euro. Soldi provenienti, in parte, dal fondo speciale da 100 miliardi di euro istituito dal governo tedesco nel 2022 per rimodernare l’esercito per adeguarlo al «cambiamento d’era», per parafrasare il cancelliere Olaf Scholz. «Dobbiamo essere preparati per la guerra», non si stanca di ripetere il ministro della Difesa, Boris Pistorius. Rheinmetall, dunque, si prepara a una fase di boom: nel 2023, le richieste hanno toccato il picco di 38,3 miliardi, il 44 per cento in più nel giro di dodici mesi. Per portare avanti l’espansione, il colosso si è messo alla ricerca di nuovo personale. Si parla di un aumento del 10 per cento dei 30mila addetti, il maggior piano di assunzioni dalla fine della Guerra fredda. Da qui l’offerta di reclutare i lavoratori in esubero di Continental, in particolare per il nuovo stabilimento di Unterluss che dovrebbe aprire i battenti l’anno prossimo. L’azienda non si limita, poi, a rifornire gli arsenali della Nato: dall’ottobre 2023, ha creato una società a Kiev, insieme alla compagnia statale ucraina, dove ripara i veicoli da combattimento in vista di avviare la produzione di blindati Fuchs, i mezzi Lynx e i carri armati Panther. Reinmethal non è un caso isolato. L’invasione russa dell’Ucraina ha determinato una corsa al riarmo globale, come dimostrano i dati dell’Istituto internazionale di scienze della pace (Sipri) di Stoccolma.
L’anno scorso, la spesa è volata a quota 2.293 miliardi di euro, il 2,3 per cento del Pil mondiale. Gli Stati Uniti sono in cima alla classifica. In seguito alla rottura del tabù sulle forniture di armi, l’Unione Europea, però, considerata nel suo insieme, occupa la seconda posizione, guidata proprio dalla locomotiva Rheinmetall. I produttori del Vecchio Continente, inoltre, hanno avuto il balzo più repentino: + 75 per cento, rispetto al 25 per cento degli omologhi d’Oltreoceano. Secondo Bank of America, si prevede una crescita del valore azionario del 23 per cento nel 2025. La Russia non vuole essere da meno. Il presidente Vladimir Putin ha appena annunciato un aumento delle forniture d’armi ai soldati al fronte e, dunque, un incremento della produzione. Sfogliando proprio lo studio dell’istituto di credito, si trovano i nomi dei veri vincitori del conflitto ucraino: quei “signori delle armi” per cui, lontano dai campi di battaglia, le guerre sono occasioni di business. È la legge della domanda e dell’offerta, si potrebbe dire. Il punto è che, molto spesso, è l’offerta a generare la domanda. Anche – e forse soprattutto – le guerre, non frutto del “destino” bensì di precise scelte politiche, sociali ed economiche. Già Dwigh Eisenhower, non proprio una “colomba”, alla vigilia della Guerra fredda, avvertiva del pericolo rappresentato dal «complesso militare industriale». Nel mondo post-bipolare, il pericolo è ancora più alto