Argentina. Dal Senato via libera all'aborto entro la 14esima settimana. Paese diviso
La piazza del Congresso divisa durante il voto in Senato, in verde gli attivisti per il Sì
Ore 4.12 (le 8.12 in Italia). La maratona decisiva era cominciata dodici ore prima. Riuniti in forma virtuale causa Covid, i senatori hanno discusso fino all’alba quando la bilancia si è inclinata a favore della legalizzazione dell’aborto volontario. Il progetto, che consente l’interruzione entro la 14esima settimana di gravidanza dai sedici anni e che era stato approvato dai deputati l’11 dicembre, è passato con 38 sì, 29 no e un’astensione. Uno scarto più ampio rispetto alle previsioni della vigilia che ipotizzavano una sostanziale parità. Proprio la Camera alta, due anni fa, aveva bocciato un testo analogo. Ora, invece, diventa legge. Sul cambio, secondo alcuni analisti, potrebbe aver influito la pressione del governo affinché il Senato si pronunciasse entro l’anno, nonostante le vacanze d’estate (australe) e la pandemia.
A differenza del predecessore conservatore Mauricio Macri – che pure aveva portato in Parlamento la pratica –, inoltre, l’attuale presidente progressista Alberto Fernández si è pronunciato a favore. E quest’ultimo ha espresso soddisfazione per la legalizzazione. «Siamo una società migliore», ha affermato.
In realtà, il nodo-aborto spacca l’Argentina. E spariglia gli schieramenti politici. Il voto ieri al Senato lo ha dimostrato: a sostenere il provvedimento, proposto dal centro-sinistra, sono stati anche dodici esponenti del centro-destra. Ma è soprattutto a livello sociale che la divisione risulta più evidente. Contraria alla legalizzazione è una quota di popolazione che oscilla tra il 49 e il 60 per cento, secondo le rilevazioni delle ultime settimane.
Il numero aumenta, inoltra, quando ci si allontana da Buenos Aires. E – variabile tutt’altro che secondaria – in relazione allo status socio-economico degli intervistati. Nelle periferie, a cominciare dalle sterminate villas miserias, l’opposizione all’interruzione di gravidanza, fino a ieri permessa in caso di stupro e rischio per la salute della madre, è forte.
«I poveri hanno grande rispetto della vita umana, perché è tutto ciò che spesso hanno. Molto raramente una donna di una villa pensa ad un aborto», racconta Maria Paula Casanova, esponente della Comunità Papa Giovanni XXIII che, insieme al marito, ha creato una comunità per tossicodipendenti a Puerto Madryn, in Patagonia.
Eppure, paradossalmente, la campagna per la legalizzazione si è incentrata sulla necessità di evitare gli aborti clandestini alle persone con meno risorse. Secondo la Società argentina di pediatria, nel 2017, delle 202 mamme morte in gravidanza, una su sette è deceduta nell’intento di interromperla. Il resto è stato ucciso da «cause ostetriche dirette o indirette», dal diabete all’ipertensione, disturbi – come sottolinea Miguel Ángel Schiavone, medico e rettore dell’Università Cattolica argentina – la cui incidenza aumenta in relazione alla povertà.
«Morti evitabili con un miglioramento del sistema sanitario pubblico. Di loro, però, nessuno si preoccupa», conclude Maria Paula Casanova.
«Il nostro popolo continuerà a scegliere tutta la vita e tutte le vite. E insieme proseguiremo a lavorare per le autentiche priorità che richiedono urgente attenzione: i bimbi e le bimbe confinati in una situazione di povertà sempre più allarmante, l’abbandono scolastico, l’asfissiante pandemia della fame di cui soffrono tante famiglie, la drammatica situazione dei pensionati di cui vengono violati sistematicamente i diritti», ha affermato la Conferenza episcopale argentina in una nota dopo la notizia della legalizzazione. I vescovi, inoltre, hanno sottolineato la «distanza di parte della classe dirigente dall’autentico sentire del popolo, che tante volte si è espresso a favore della vita».