Argentina. Per quattro voti passa l'aborto, ora la legge al Senato
Doveva durare quindici ore. Dopo quasi un giorno e una notte interi di dibattito, nella tarda mattinata di ieri, però, la sessione-maratona al Congresso (la Camera argentina) non era ancora terminata. La discussione è stata per tutto il tempo accesa ma rispettosa, fatto insolito per un’Aula abituata a scambi di battute al vetriolo tra maggioranza e opposizione. Fino all’ultimo, tuttavia, l’Assemblea è rimasta divisa a metà favorevoli e contrari alla legalizzazione dell’aborto entro la 14esima settimana. A lungo, il no aveva mantenuto un leggero vantaggio, con uno scarto di due o tre voti. Alla fine, all’alba, si era arrivati alla sostanziale parità. Centoventisette schierati per il sì e altrettanti per il no – oltre a un astenuto – al provvedimento, ammesso all’esame parlamentare meno di quattro mesi fa, per volontà del governo di Mauricio Macri. Quest’ultimo, però, aveva lasciato libertà di coscienza ai suoi parlamentari: il “crinale-aborto”, così, s’è imposto trasversalmente alle appartenenze partitiche. Creando inediti momenti di complicità tra vecchi “nemici politici”.
Fuori dal sontuoso edificio – la cui architettura è ispirata alla Casa Bianca –, una folla di migliaia e migliaia di argentini attendeva con apprensione, dopo una notte trascorsa in piazza. In una piazza spaccata anch’essa in due parti. In una porzione, separata da una barriera ad hot, i promotori della campagna “proteggiamo le due vite” alternavano momenti di veglia e testimonianza, accompagnate dallo slogan «L’aborto legale uccide uguale». Nell’altra, il fronte pro-interruzione di gravidanza, agitava i fazzoletti verdi, emblema della mobilitazione favorevole alla riforma. Per “rompere la parità”, il promotori della legge hanno chiesto l’aiuto del governo, suggerendoli di chiedere a qualche parlamentare di assentarsi al momento della votazione. Poi, alla ventesima ora di confronto, l’imprevedibile svolta. Tre parlamentari di La Pampa dell’opposizione peronista – Sergio Ziliotto, Melina Delú e Ariel Rauschenberger –, fino ad allora propensi alla bocciatura dell’iniziativa, hanno annunciato di aver cambiato idea. Sono seguite altre due ore di discussione, prima che anche Carlos Roma passasse dal no al sì. Alla fine, con 129 preferenze contro 125 e un’astensione, il Congresso ha dato il sofferto via libero al procedimento. Per un errore del conteggio elettronico, in un primo momento, il risultato era apparso di 131 a 123.
Una manciata di minuti dopo, è arrivata la correzione. Per soli quattro voti, la bozza di legge per la legalizzazione dell’aborto passa ora al vaglio del Senato. La Conferenza episcopale argentina, che si è detta «addolorata» dalla scelta della Camera, ha auspicato che in tale sede «possano essere elaborati progetti alternativi» in grado di affrontare situazioni conflittuali, affinché «nessuna donna sia costretta a ricorrere all’aborto» e venga riconosciuto «il valore di tutta la vita». I vescovi hanno chiesto, inoltre, che il dibattito si svolga «in modo sereno» e non come «battaglia ideologica» e non ideologico. Quest’ultimo andrà avanti ancora diversi mesi. Il Senato seguirà un iter simile alla Camera. La proposta sarà prima esaminata dalle Commissioni incaricate. Al termine, si prevede intorno a settembre, il testo arriverà in Aula per la votazione finale. In caso affermativo, il presidente ha già anticipato che non apporrà il veto al provvedimento. Al momento, in Senato, c’è la stessa frattura trasversale del Congresso, con una leggera prevalenza del no. Dei 72 esponenti, 26 si sono detti contrari all’interruzione di gravidanza e 17 a favore. L’ago della bilancia, ancora una volta, saranno i 29 indecisi.
Fra questi, c’è anche l’ex “presidenta”, Cristina Fernández Kirchner. Durante gli otto anni di mandato, quest’ultima si era detta sempre contraria all’aborto e aveva impedito al Parlamento di discuterne la legalizzazione. Ora, però, sostengono gli analisti, potrebbe essere tentata di sostenere l’iniziativa per riacquistare consensi all’interno del fronte progressista, spaccato dalla mossa di Macri. Del resto, anche l’attuale leader, personalmente contrario alla pratica, potrebbe avere giocato “la carta aborto” per accattivarsi la simpatia di alcuni settori sociali, in un momento di calo di popolarità a causa della crisi economica. Per restare a galla, il Paese ha appena chiesto e ottenuto un prestito di 50 miliardi dal Fondo monetario internazionale (Fmi). E proprio ieri, s’è svolto lo sciopero generale contro la politica economica dell’esecutivo.