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Africa. Appello all’Italia e ai leader G7: «In Sudan una catastrofe»

Giancarlo Salemi venerdì 12 luglio 2024

Sfollati sudanesi in fuga dai combattimenti nel campo di Gorom, vicino alla capitale sud sudanese Juba

C’è una “guerra dimenticata” che va avanti da 15 mesi nell’indifferenza generale e ha già causato oltre 15mila morti. La si sta combattendo in Sudan: è una lotta di potere tra l’esercito regolare fedele al generale Abdel Fattah al-Burhan (a capo del Consiglio sovranazionale che guida il governo di transizione) e i paramilitari delle Rsf, le Forze di supporto rapido, guidate da Mohamed Hamdan Degalo. Un tempo alleati, i due generali che avevano destituito il “regno” ultraventennale di Omar el-Bashir, dal 15 aprile 2023 sono l’uno contro l’altro armati. Un conflitto interno che si sta trasformando in «una catastrofe umanitaria, con quasi 10 milioni di sfollati interni e 2 milioni di rifugiati, su una popolazione di 47 milioni». Oggi il terzo più grande Paese dell’Africa è a rischio carestia, «se la comunità internazionale non interverrà urgentemente con l’invio di aiuti umanitari». La richiesta di soccorso è arrivata dalla Comunità di Sant’Egidio che insieme ad Emergency, Medici Senza Frontiere, i padri comboniani e le suore salesiane ha chiesto al governo italiano, che presiede il G7 e ha lanciato il Piano Mattei per l’Africa, di farsi «portavoce nella comunità internazionale di una ripresa dei negoziati per un cessate il fuoco immediato».

«Durante il G7 a Borgo Egnazia ci si è posti il problema del Sudan, ma come uno dei temi all'ordine del giorno – ha spiegato il presidente di Sant'Egidio, Marco Impagliazzo – ma la situazione umanitaria, politica e militare non è cambiata affatto. Il Sudan è nella più grande crisi della sua storia. Si usa l’aviazione e l’artiglieria pesante persino nella capitale Khartum e una larga parte della popolazione è dovuta fuggire, soprattutto in Egitto e Ciad».

Anche gli sforzi diplomatici di Stati Uniti e Arabia Saudita non hanno avuto effetto, ricorda sempre Impagliazzo: «Il trattato di Gedda (siglato lo scorso 11 maggio) è stato violato all’indomani della sua firma». Allarmati gli operatori sanitari, come Emergency che con i suoi volontari opera in Sudan dal 2006. «Khartum è una città fantasma – racconta Pietro Parrino direttore del Dipartimento Progetti : manca l’elettricità, non c’è accesso al cibo fresco e la gran parte delle persone sono malnutrite». Lo testimonia anche l’ultima analisi dello scorso giugno dell’Integrated Food Security Classification, un progetto che monitora il livello di sicurezza alimentare in diversi luoghi del mondo. Ebbene 25,6 milioni di persone in tutto il Sudan «stanno già affrontando livelli diffusi di fame acuta, praticamente un sudanese su due, e la situazione è critica in Darfur, Kordofan, Khartoum e Al Jazira».

«Abbiamo provato ad aprire dei centri nutrizionali nel Darfur», ha spiegato Vittorio Oppizzi di Medici Senza Frontiere, «ma da soli non riusciamo anche visto l’ostruzionismo operato dai paramilitari del generale Degalo». Non è un momento facile per Medici Senza Frontiere che ha dovuto sospendere le attività al Turkish hospital della capitale. E non sono i soli ad aver abbandonato Khartum. «Le nostre tre comunità presenti nella capitale sono state evacuate subito», denuncia padre Angelo Giorgetti dei missionari Comboniani che ha vissuto in Sudan per 16 anni. «Proviamo ad offrire assistenza alla comunità cristiana, a formare nuovi infermieri ma quasi tutte le scuole sono state bloccate e questo avrà un impatto devastante sul futuro della popolazione».

Il grido di allarme è unanime e chi ha deciso di rimane sul campo, come le suore salesiane - la fa perché «altrimenti migliaia di donne e bambini sarebbero ridotti alla fame», spiega suor Ruth del Pilar Mora, delle Missioni dell'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice: «La Chiesa ci sostiene ma è bene che ad aprire gli occhi sia tutta la comunità internazionale».