Tutte le porte aperte, anzi spalancate per dare almeno un tetto ai profughi. Il patriarcato dei cattolici latini, dipendenza diretta dal patriarcato di Gerusalemme, è pronta alla mobilitazione, mettendo a disposizione ogni metro quadro delle sue strutture. È una marea umana ormai strabordante – 100mila i fuggitivi solo nell’ultimo mese, più di 600mila in tutto il Medio oriente secondo l’Onu, molti di più dicono le ong – e alle prese con un inverno insolitamente rigido: le tempeste di neve e pioggia gelida negli ultimi giorni hanno spazzato via centinaia di tende a Zaatari, il principale campo profughi nel governatorato di Mafra, Nord della Giordania. Secondo alcune fonti due bambini sarebbero morti nei giorni scorsi per assideramento, altre vittime fra gli anziani e le donne. Il gelo e la fame, oltre a un affollamento ormai insopportabile, hanno provocato rivolte tra i 60mila fuggiaschi. I fondi, stanziati a primavera dalle organizzazioni internazionali, stanno finendo e la comunità cristiana si mette in prima linea per garantire un alloggio, sia pure di fortuna, e generi di primo soccorso. A partire dal centro Nostra Signora della pace, struttura modello di pastorale giovanile gestito dalle suore comboniane nel centro di Amman. «Tutte le nostre chiese e le sale parrocchiali, a partire dai locali del centro Notre Dame de la Paix di Amman sono pronte ad accogliere i nostri fratelli siriani cristiani e musulmani, finora tenuti nel campo di Zaatari. Ci prenderemo cura di tutti quelli che riusciremo a ospitare», ha dichiarato l’arcivescovo Maroun Lahham, vicario patriarcale per la Giordania del patriarcato latino di Gerusalemme. La Caritas Giordania è già da mesi al lavoro con 1000 volontari e 130 impiegati. «La Caritas non è un lavoro, è una missione», si legge sulle strutture di accoglienza. E la cura dei profughi, in particolare dei minori, da mesi sfianca gli operatori. Da ieri accoglienza a tutto campo nelle 22 parrocchie gestite dal patriarcato, ma gli appelli alla solidarietà di fronte alla drammaticità della situazione, si stanno spandendo come un balsamo che dà speranza nella paralisi della diplomazia internazionale. Venerdì alcuni rappresentanti della comunità assira legati all’Assyrian Human Rights Network avevano chiesto di aprire le porte delle chiese presenti in Giordania per accogliere i profughi di Zaatari, ormai incapace ad accoglierlo. L’appello era stato sottoscritto anche da esponenti dell’opposizione siriana. Un appello nato da una necessità impellente: Wael Suleiman, direttore di Caritas Giordania recentemente aveva auspicato la chiusura di Zaatari, ormai ingestibile. Ora qualcuno aprirà una porta, ma l’emergenza incalza: i profughi siriani che hanno trovato rifugio in Giordania sono già oltre 280mila sui 600mila complessivi, ma secondo le stime dell’Onu a giugno diventeranno oltre un milione. E le chiese, a quella data, saranno già riempite.