Il dramma . Pandemia eterna: l’America Latina batte ogni record
Le comunità indigene dell'Amazzonia restano le più colpite dal virus
Non un’emergenza sanitaria ma una «crisi umanitaria»: questo è il Covid per l’America Latina. A novembre 2020, The Lancet lanciò l’allarme in un profetico editoriale. Allora, i contagi nella regione sfioravano in media quota 95 per milione di abitanti. Tanti, ma in linea con la tendenza generale. Anzi, erano gli Stati Uniti in vetta alla classifica dei decessi. Sette mesi dopo, lo scenario appare ribaltato: dal primo al 29 giugno, a sud del confine Usa, le nuove infezioni sono state superiori a 300 per milione di abitanti contro le 40 per milione del Vecchio Continente e le 59 del vicino yankee. Ma sono le morti a rendere in modo inequivocabile la tragicità della realtà attuale. Nello spazio compreso tra il Rio Bravo e la Terra del Fuoco – dove risiede l’8 per cento della popolazione mondiale –, il virus ha già ucciso oltre 1,1 milioni di persone, oltre un quarto delle vittime globali, trasformandolo nell’epicentro della crisi. Le ragioni vanno ricercate solo in parte in ambito sanitario. Per questo, gli esperti preferiscono la definizione «sindemia» a quella di pandemia per spiegare il Covid in America Latina. Secondo la formulazione dell’antropologo statunitense Merril Singer, un approccio sindemico non si limita a considerare i fattori medico-biologici bensì analizza le interazioni fra essi e le condizioni socio-economiche, consapevole che gli effetti di una malattia variano proprio in relazione a questi ultimi.
È la diseguaglianza la radice della sindemia latinoamericana. Declinata – spiega Ciro Ugarte, direttore del settore salute d’emergenza della Pan-American health organization (Paho), sezione continentale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – in un mix di specifiche disparità: la dipendenza della maggioranza dei cittadini dall’economia informale, la fragilità della sanità pubblica e la lentezza delle campagne vaccinali. I lavoratori in nero sono il 54 per cento della manodopera: impossibile per chi guadagna il minimo per sopravvivere alla giornata, rispettare la quarantene imposte dai governi. Non sorprende, dunque, il fatto che il Perù – dove gli impiegati senza contratto sono addirittura i tre quarti del totale – sia anche quello con più morti nel pianeta rispetto alla popolazione, nonostante le misure tempestive adottate dagli ultimi esecutivi. Le carenze della salute pubblica si riflettono nel sovraffollamento delle terapie intensive e nella mancanza di ossigeno. «Il 50 per cento delle cliniche pubbliche, subissate dalle richieste, hanno dovuto interrompere molti servizi», ha affermato Carisse Etienne, direttrice della Paho. Il dramma si ripete ovunque nella regione, soffocando soprattutto le periferie dimenticate. In Amazzonia, i malati sono oltre 3,3 milioni e i morti più di 95mila. I più colpiti sono i popoli indigeni, che hanno una vulnerabilità di fronte all’infezione di dieci volte maggiore rispetto agli altri.
Alle diseguaglianze croniche e cronicizzate, s’è sommata una nuova forma di ingiustizia: la disparità nell’accesso ai vaccini. Solo un latinoamericano su dieci ha ricevuto l’immunizzazione completa, per un totale di circa 54 milioni, poco più di un terzo rispetto agli europei. Oltretutto il panorama varia tragicamente da nazioni come il Paraguay, dove meno del 7 per cento ha ricevuto la prima fiala, o il “buco nero” Venezuela – appena escluso dall’alleanza solidale Covax perché non comunica i dati economici – a Stati virtuosi, quali Cile e Uruguay, con circa la metà della popolazione vaccinata. Neppure questo, però, è sufficiente: a Santiago, ad esempio, i casi continuano a crescere per la bassa protezione garantita dai farmaci cinesi impiegati. Il conteggio, inoltre, non include il Centroamerica, dove la scarsità di dosi è particolarmente drammatica. Con la produzione limitata dai brevetti e tempestivamente pre-acquistata dal Nord del mondo, sarà difficile per l’America Latina raggiungere quell’immunità di popolazione necessaria per arginare il contagio. Più probabile, come ha avvertito già da mesi l’Oms, che il virus resti in agguato. Da sindemia, il Covid rischia di trasformarsi nell’ennesima malattia endemica del Continente, proprio come la zika, la dengue o la malaria. Killer di poveri, che non hanno i mezzi per assicurarsi le cure ormai esistenti. E, per questo, infermità invisibili agli occhi della comunità internazionale.