Anche nella beneficenza gli Usa prediligono la versione extra-large. Infatti, in un Paese dove il welfare è ridotto all’osso, le disuguaglianze economiche sono estreme e il fisco incentiva donazioni anche ingenti, devolvere parte del proprio reddito ai più bisognosi o alla scienza è la norma: lo fa il 90 per cento degli americani. E non spiccioli. In media i cittadini statunitensi versano in beneficenza il 3 o 4 per cento di quanto guadagnano, secondo gli anni. In Italia siamo attorno allo 0,5 per cento.Poi c’è il grande cuore di chi non si accontenta di versare cinquecento dollari alla propria chiesa o mille a un ospedale per i poveri. E dà dona tutto, o quasi. Giovani che ricevono un’eredità milionaria e la devolvono per intero a una causa nobile. Ma anche famiglie che decidono di regalare regolarmente la metà di tutto quello che guadagnano a chi ne ha più bisogno – anche se non hanno conti correnti a sei zeri. Qualcuno parla già di tendenza, stimolata, paradossalmente, proprio dalla recessione. Se è innegabile che ci sono meno soldi in giro, è anche vero che a soffrirne di più è chi possedeva già poco. Il bisogno dunque aumenta, ed è più visibile. Dover rinunciare a qualcosa, inoltre, aiuta a mettersi nei panni di chi deve rinunciare a tutto. Non a caso studi mostrano che storicamente negli Usa le più generose sono le famiglie a reddito più basso (sotto i 20mila dollari l’anno). Così, se la beneficenza "tradizionale" nel 2009 ha subito una battuta d’arresto, quella "estrema" si è impennata.A dimostrarlo sono Anne e Christopher Ellinger. Quando, trent’anni fa, i coniugi di Boston ricevettero un’inattesa eredità e ne regalarono subito più della metà in beneficenza, cominciarono a chiedersi quanti americani facessero lo stesso. Quanti, «donino al loro massimo potenziale», come amano dire. Quindi si misero a calcolare quanto sarebbe cambiata la società americana se tutti avessero aperto il portafogli di più, molto, molto di più. Hanno presto capito di essersi imbattuti in un’idea rivoluzionaria, in un Paese dove ogni accenno alla ridistribuzione del reddito suscita accuse di comunismo. Ma sono andati avanti. «Dopotutto non vogliamo creare nuove leggi o aumentare le tasse – spiega Anne – solo introdurre un modo diverso di vedere la ricchezza». Gli Ellinger hanno cominciato a raccogliere le storie di persone che pensavano, e agivano, come loro: nel 2007, hanno fondato un sito, boldergiving.com ("dare più coraggiosamente") che le raccoglie. Il suo scopo, precisano, non è di mettere in vetrina «i più bravi della classe», ma di raccontare come un gesto gratuito possa cambiare tante vite, a partire da quella del suo autore. La voce si è sparsa e ora la loro "lega del 50 per cento", benefattori che hanno devoluto metà del proprio patrimonio o donato la metà del proprio reddito per almeno tre anni consecutivi, conta una sessantina di membri. Ci sono i ricchi, come il popolare attore televisivo Linus Roache (presenza fissa di «Law and Order»), che da sette anni versa il 60 per cento del suo stipendio a un fondo per giovani artisti. Ma c’è anche Frank Rasmus, un pensionato che nella sua carriera da assicuratore non ha mai guadagnato più di 45mila dollari l’anno e ne ha regolarmente regalata la metà. Oppure Bob Kaplan, che ha sempre vissuto con meno di 30mila dollari l’anno e, quando ha ricevuto 350mila dollari da un parente defunto, ha deciso di continuare a farlo, offrendo il 95 per cento di quei soldi alla ricerca sul cancro. Meno rivoluzionario, ma indicativo di questa mini-tendenza, è l’obiettivo che si sono posti James Hong e Joshua Blumenstock con il sito 10over100.org (dieci sopra 100), nato nel 2005, ma esploso negli ultimi due anni. Hong, che grazie al boom di Internet si è scoperto milionario prima di compiere trent’anni e ha intuito che la sua fortuna non gli apparteneva del tutto, ha deciso di recuperare il principio biblico della decima. Con una modifica: avrebbe donato ogni anno il 10 per cento di tutto quello che guadagnava oltre 100mila dollari. Poi ha usato Internet per invitare i più abbienti a fare altrettanto. Più di quattromila persone hanno già fatto pubblicamente la sua stessa promessa – atto che in realtà non richiede altro che firmarla sul sito e impegnarsi in coscienza a tenervi fede.Come la storia di Hong rivela, le motivazioni dei "donatori estremi" variano. Per molti alla radice della generosità c’è il mandato cristiano di dare da mangiare gli affamati e di riconoscere Cristo nei fratelli più bisognosi. Per altri c’è un obbligo morale nei confronti dei propri simili, oppure il desiderio di vivere una vita più semplice e di abbracciare così il significato più profondo dell’esistenza. Tutti sembrano condividere la convinzione di non essere eccentrici o particolarmente buoni, ma solo di trovarsi all’avanguardia di un movimento "inevitabile". Come spiega uno dei "donatori estremi", Clarence Jordan, «il materialismo è un sistema contorto, fallimentare, che non fa bene a nessuno». Meglio, nelle parole di Robert Graham, uomo d’affari che ha donato milioni di dollari, sfidare gli stereotipi su quanto sia prudente dare in beneficenza: «Ho smesso di accumulare per uno scopo che non vedevo e ho cominciato a investire nelle vite di persone che avevo davanti agli occhi. Alla fine, ho scoperto che stavo investendo nella mia vita e in quella della mia famiglia».