LA TRATTA. America Latina. Il mercato dei nuovi schiavi
Un’«industria multimilionaria», che porta nelle casse del crimine organizzato «circa 16 miliardi di dollari ogni anno in America latina». La tratta di esseri umani genera 30 miliardi di dollari all’anno: la regione latinoamericana frutta oltre la metà di questo agghiacciante business, che si alimenta di stupri e prostituzione, ma anche schiavitù, lavori forzati e traffico di organi.Le cifre sono state denunciate dal vicesegretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), Albert Ramdin, durante la III "Riunione delle autorità nazionali in materia di tratta di persone" celebrata a metà ottobre in Guatemala. Dal Paraguay all’Argentina, dalla Bolivia al Brasile, dalla Colombia all’Ecuador, dall’America Centrale (Guatemala, Salvador, Honduras o Nicaragua) al Messico, per poi terminare negli Usa. È una ragnatela mondiale, che muta continuamente strategie e rotte per sfuggire alla polizia. Difficile definire il numero esatto delle vittime della tratta, ma secondo l’Osa si può parlare di circa 20,9 milioni in tutto il pianeta, dei quali oltre 9 milioni in America latina (1,2 milioni sono bambini e adolescenti). «Il nostro obbligo morale è aiutare coloro che non possono difendersi», perché i responsabili delle reti del traffico umano «sfruttano le debolezze dei sistemi di sicurezza e giustizia e le condizioni disperate dei gruppi più vulnerabili», avverte Ramdin. Nella regione molti Paesi hanno adottato legislazioni più severe e moderne contro la tratta. Sono stati fatti passi in avanti nella prevenzione. Ma «bisogna lavorare anche per castigare chi commette» questo crimine e per «riabilitare le vittime attraverso campagne di informazione».L’Argentina ha appena annunciato un programma innovativo rivolto ai camionisti per insegnare loro a riconoscere le vittime: i 300mila trasportatori che ogni anno rinnovano la patente saranno obbligati a vedere un video di 18 minuti, che racconta tre storie. C’è Ana, la ragazza che rimane incinta e scappa dal suo paesino, cadendo nelle grinfie della prostituzione organizzata; Gabriel, cliente di un postribolo, che si rende conto che le ragazze «non sono lavoratrici, ma schiave»; infine la storia del padre di un’adolescente che se ne è andata per cercare lavoro insieme ad un presunto «amico». In Argentina il tema ha fatto irruzione nel dibattito pubblico soprattutto con il caso di Marita Veron, sequestrata dieci anni fa da un’organizzazione dedita alla prostituzione. La madre di Marita si è infiltrata in questo pericoloso mondo e ha raccolto sufficienti prove per il processo e per salvare tante altre vittime: «Mi sento bene, perché il mio grido e il mio dolore sono serviti a qualcosa», ha detto dopo la presentazione del video.Un punto molto debole della legislazione latinoamericana, secondo la giornalista Lydia Cacho – autrice di Schiave del potere – è che nessuna normativa criminalizza i clienti. Senza domanda – assicura – non ci sarebbe offerta: i latinoamericani dovrebbero adottare la legge della Svezia, in cui si colpisce il «consumo». È importante rompere il muro dell’«indifferenza» e delegittimare il concetto di «prostituzione come lavoro», aveva già avvertito Norma Ramos (Porto Rico), della "Coalizione contro il traffico di donne e bambine in America Latina e nei Caraibi" (Catwlac). La tratta è la terza attività più lucrativa al mondo, dopo il narcotraffico e le armi.
È una questione di numeri. «Una dose di droga si vende e finisce l’affare. Una donna o una bambina possono essere vendute fino a 40 o 50 volte al giorno, guadagnando 40 o 60 dollari ogni volta e possono essere sfruttate fino a 5 anni», come ripete da tempo Teresa Ulloa, direttrice regionale della Catwlac.