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LE MINACCE ALL'AMBIENTE. Amazzonia, arriva il condono

Lucia Capuzzi giovedì 8 dicembre 2011
​Per due anni e mezzo ha rinviato e cavillato. Alla fine, il Senato brasiliano ha scelto la data meno “politicamente corretta” per dare il via libera al nuovo codice forestale. Proprio mentre 190 Paesi sono riuniti a Durban, in Sudafrica, per il vertice Onu sul clima, la Camera Alta – dopo sei ore di discussioni feroci, al limite della rissa – ha approvato un progetto di legge controverso, che ha spaccato il Paese. Allevatori e grandi latifondisti sono fortemente favorevoli all’iniziativa, che riduce di 22 milioni di ettari le aree amazzoniche protette. Enormi estensioni di selva che, d’ora in poi – o meglio dopo la scontata conferma del Congresso e la meno scontata ratifica della “presidenta” Rousseff –, potranno essere trasformate in campi coltivabili. Previa distruzione degli alberi che vi crescono sopra. In aggiunta, la situazione giuridica di altri 30 milioni di ettari di Amazzonia – razziati da tagliatori e agricoltori abusivi fino al 2008 – potrà essere regolarizzata. Gli ingredienti per fare infuriare gli ambientalisti ci sono tutti. In centianaia, martedì notte, hanno manifestato a Brasilia, in Placa de los Tres Poderes, dove si trova il Senato, per chiedere ai parlamentari di votare contro. «Questa legge permette ai “sojeros” di fare piazza pulita», ha denunciato Tatiana Carvalho, di Greenpeace. Il Brasile è il principale produttore mondiale di soia: il 25 per cento cresce qui. Naturale – dati gli altissimi prezzi sul mercato mondiale – che gli imprenditori agricoli abbiano interesse a ridurre l’Amazzonia per far posto al cereale. «Si uccidono gli alberi in nome del business», hanno denunciato molti scienziati e artisti. La legge è stata criticata anche dai vescovi brasialiani. «Non è il codice dei sogni ma è pur sempre un passo avanti: la legge precedente risaliva a 46 anni fa», ha ribattuto il senatore Jorge Vianna, autore del testo. Sulla necessità di aggiornarlo, concordano anche gli ecologisti. In direzione opposta, però. Il dilemma tra economia e ambiente non è solo brasiliano. Su questo punto sono tuttora “impantanate” le discussioni alla Conferenza Onu di Durban. Lo stesso Ban Ki-moon ha riconosciuto, due giorni fa, che le probabilità di ratificare un nuovo accordo vincolante – sul modello di Kyoto, che scadrà l’anno prossimo – per ridurre le emissioni di anidride carbonica sono scarse. Gli Stati Uniti puntano a mantenere in vigore il “modello-Cancun”, cioè riduzioni volontarie fino al 2020. Sulla stessa linea anche Cina, India, Brasile e Sudafrica. Senza i principali inquinatori, qualunque accordo rischia di essere quantomeno inefficace. Maggiori progressi, finora, sono stati fatti per la realizzazione di un “fondo verde”. Una prima bozza è già stata scritta. In base a questa, le nazioni ricche si impegnano a versare 100 miliardi all’anno fino al 2020 per aiutare le nazioni del Sud del mondo a mitigare gli effetti del surriscaldamento globale. Effetti che – dicono gli ambientalisti brasiliani – non tarderanno a peggiorare se l’Amazzonia, principale polmone verde del pianeta, verrà distrutto. La loro ultima speranza è il veto della “presidenta”. La Rousseff, prima dell’elezione, era contraria alla deforestazione. Ora, però, la necessità di incrementare la crescita economica potrebbe averle fatto cambiare idea. Si ritorna al solito dilemma. A Brasilia come a Durban.