Nicaragua. Giallo sul vescovo: «Rolando Álvarez rimane in prigione»
Il vescovo Rolando Álvarez ha 56 anni
Rolando Álvarez si trova nella cella di massima sicurezza della prigione di La Modelo, alla periferia di Managua, dove era rinchiuso dal 9 febbraio. Questo l’unico dato certo dopo una giornata di indiscrezioni e smentite riguardo alla sorte del vescovo 56enne. All’alba attivisti e fonti diplomatiche avevano rivelato la scarcerazione di monsignor Álvarez, affidato poi alla Conferenza episcopale nicaraguense. Secondo queste voci – rilanciate dai media – il pastore di Metagalpa avrebbe dovuto essere inviato in esilio grazie a una mediazione dei vescovi, della Santa Sede e della nunziatura. Lo stesso esilio che aveva rifiutato cinque mesi fa e gli era costato la detenzione dopo un processo sommario e un’improbabile condanna a 26 anni per «terrorismo». La reclusione del vescovo, tuttavia, si è rivelata un boomerang per il già screditato regime. Ortega e la vice nonché moglie Rosario Murillo, sono stati ostracizzati dalla comunità internazionale e dal resto del Continente. Al di là dei proclami muscolari – tra cui la sospensione delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede –, la stessa coppia presidenziale si è presto resa conto della necessità di trovare una soluzione negoziata al “caso Álvarez”. Uno spiraglio si era aperto con l’incontro tra papa Francesco e il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, il 21 giugno. Era stato quest’ultimo a dire, al termine del colloquio, di essersi impegnato con il Pontefice a parlare con Ortega di monsignor Álvarez. Come “padre nobile” della sinistra dell’America Latina, era tra i pochi ad avere qualche chance di essere ascoltato. L’ipotesi del rilascio sembrava, dunque, plausibile.
Poi, la doccia fredda. Il cardinale Leopoldo Brenes, arcivescovo di Managua, ha smentito l’intera ricostruzione. «Monsignor Álvarez non si è mai mosso dal carcere. Non capisco la ragione di queste speculazioni. Non c’è stata alcuna mediazione», ha dichiarato. Fonti riservate, tuttavia, riportate da El Confidencial, parlano, invece, di un negoziato fallito in seguito al drastico rifiuto del vescovo di lasciare il Paese. La diffusione della notizia, inoltre, avrebbe irritato il regime in un momento difficile. Anche perché proprio oggi il governo ha annunciato una riforma costituzionale volta a garantire al presidente il totale controllo della polizia. Finora la repressione, sempre più pervasiva, è stata affidata alle “turbas”, fedelissimi di Ortega, senza alcun inquadramento giuridico. La misura rappresenta l’istituzionalizzazione del “regime di polizia” già vigente dall’estate 2018, dopo le rivolte pacifiche contro il presidente. Anche la persecuzione nei confronti della Chiesa cattolica – con la chiusura di oltre 3.300 organizzazioni sociali – si inquadra nel “nuovo corso” dittatoriale sempre più evidente.