Sferzati da tre giorni di bombardamenti senza tregua, i miliziani islamici che da quasi un anno tengono sotto scacco il Nord del Mali hanno provato ieri a reagire. E riconquistata la località di Diabaly, hanno minacciato attentati in Francia, promettendo di colpirla «al cuore» e di impegnare Parigi in una lunga e brutale guerra sul terreno. Deciso a mettere fine alla dominazione islamista, il presidente François Hollande – appoggiato, secondo un sondaggio, da sei francesi su dieci (più di quelli che sostennero all’epoca l’intervento in Afghanistan) – va avanti, ma l’allerta in Francia è massima, ha confermato il ministro dell’Interno Manuel Valls. Il rischio che la guerra-lampo non sia poi così breve e che l’effetto-contagio possa riverberarsi anche sui Paesi vicini è valutato attentamente. Le incursioni aeree in Mali iniziate venerdì sono proseguite anche ieri e saranno a breve affiancate dalle operazioni dei primi uomini della forza di intervento dell’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale. I caccia francesi hanno distrutto ieri il quartier generale del gruppo Ansar Dine a Douentza, una quarantina di chilometri a est di Konna, massimo punto di penetrazione dei miliziani verso sud, riconquistata dalle truppe regolari di Bamako. A Kidal, nel nord-est, sarebbe stata distrutta un’altra base di Ansar Dine. Raid anche su Gao, dove sarebbero una sessantina gli jihadisti uccisi. Colpiti l’aeroporto cittadino, depositi di armi e siti di addestramento del Mujao (Movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa occidentale), altro gruppo islamista. Stando a Sahara media , le incursioni aeree hanno distrutto la «quasi totalità delle infrastrutture » dei fondamentalisti, che sarebbero in fuga dalle maggiori città del nord. I ribelli salafiti hanno però preso il controllo di Diabaly, una piccola località al confine con la Mauritania e con l’Azawad, come viene chiamata la zona sotto l’influenza salafita. Parigi ha intanto chiesto un intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si è riunito ieri. Per il governo francese la situazione «si sta evolvendo in modo positivo »: secondo il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, l’intera operazione sarà questione «di settimane». Eppure l’Eliseo ha deciso ieri di inviare in Mali altri 1.900 soldati, in aggiunta ai 600 attuali, segno che l’intervento non sarà brevissimo. L’offensiva militare ha provocato una ritirata del gruppi salafiti nella parte orientale e meridionale del Paese, anche se all’ovest la situazione «resta difficile», per la presenza di ribelli armati fino ai denti. L’Ecowas ha convocato per venerdì un vertice straordinario ad Abidjan, in Costa d’Avorio. A ottobre una risoluzione dell’Onu diede all’organismo africano l’incarico di allestire una missione militare di 3.300 uomini. Dopo l’intervento francese, Niger, Senegal e Burkina Faso si sono impegnati a inviare 500 soldati ciascuno, altri 300 saranno messi a disposizione dal Togo, 600 dal- la Nigeria. Ieri pomeriggio si è riunita anche la «piattaforma di crisi» sul Mali in seno all’Ue, mentre un summit straordinario dei ministri degli Esteri europei si terrà in settimana, forse giovedì. Gli Stati Uniti sono pronti a offrire mezzi e intelligence. Canada e Danimarca hanno già messo a disposizione due aerei da trasporto, un C-17 e un Hercules C-130. Il Mujao avrebbe intanto sbarrato i confini con Niger e Burkina Faso e disseminato di mine la frontiera con questi due Paesi. In una nota, il gruppo ha spiegato che intende «trascinare» i Paesi africani che appoggiano l’operazione e la Francia in un conflitto «che non finirà presto». «Per i miscredenti e gli apostati – sostiene il gruppo – sarà la sconfitta, come è accaduto in Afghanistan, Iraq e Somalia». Una colonna del Mujao si sarebbe diretta ieri verso Nara, nel sud-ovest del Mali. Da parte loro i ribelli separatisti tuareg si sono offerti di appoggiare l’intervento militare francese. «Possiamo fare noi il lavoro al suolo. Disponiamo di uomini, armi e, soprattutto, abbiamo la volontà di sbarazzare l’Azawad dai terroristi», ha riferito un portavoce del Mnla, il Movimento di liberazione nazionale dell’Azawad, l’area del Nord considerata dai tuareg come loro madrepatria. Fu proprio la sollevazione dei tuareg che un anno fa innescò il colpo di stato militare in Mali, ponendo le premesse per quel vuoto di potere che incoraggiò la guerriglia jihadista. Preoccupa, intanto, la situazione umanitaria. Alcune centinaia di maliani, in maggioranza provenienti da Lerè e di Konna, per sfuggire ai combattimenti hanno attraversato il confine con la Mauritania. Una volta in territorio mauritano, i profughi hanno raggiunto la città di Fassala e qui sarebbero in attesa di aiuti. Per l’Onu gli sfollati, in tutto il centro-nord del Mali, sarebbero già 30mila.