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LA CRISI IN AFRICA. Altri raid in Mali. Dai ribelli minacce a Parigi

Paolo M. Alfieri martedì 15 gennaio 2013
Sferzati da tre giorni di bombardamenti senza tre­gua, i miliziani islamici che da quasi un anno ten­gono sotto scacco il Nord del Mali hanno prova­to ieri a reagire. E riconquistata la località di Diabaly, hanno minacciato attentati in Francia, promettendo di colpirla «al cuore» e di impegnare Parigi in una lunga e brutale guerra sul terreno. Deciso a mettere fine alla do­minazione islamista, il presidente François Hollande – appoggiato, secondo un sondaggio, da sei francesi su dieci (più di quelli che sostennero all’epoca l’interven­to in Afghanistan) – va avanti, ma l’allerta in Francia è massima, ha confermato il ministro dell’Interno Ma­nuel Valls. Il rischio che la guerra-lampo non sia poi co­sì breve e che l’effetto-contagio possa riverberarsi an­che sui Paesi vicini è valutato attentamente. Le incursioni aeree in Mali iniziate venerdì sono prose­guite anche ieri e saranno a breve affiancate dalle ope­razioni dei primi uomini della forza di intervento del­l’Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa Occidentale. I caccia francesi hanno distrutto ieri il quar­tier generale del gruppo Ansar Dine a Douentza, una quarantina di chilo­metri a est di Konna, massimo punto di penetrazione dei mi­liziani verso sud, ri­conquistata dalle truppe regolari di Ba­mako. A Kidal, nel nord-est, sarebbe sta­ta distrutta un’altra base di Ansar Dine. Raid anche su Gao, dove sarebbero una sessantina gli jihadi­sti uccisi. Colpiti l’ae­roporto cittadino, de­positi di armi e siti di addestramento del Mujao (Movi­mento per l’unicità e la jihad nell’Africa occidentale), altro gruppo islamista. Stando a Sahara media , le in­cursioni aeree hanno distrutto la «quasi totalità delle in­frastrutture » dei fondamentalisti, che sarebbero in fu­ga dalle maggiori città del nord. I ribelli salafiti hanno però preso il controllo di Diabaly, una piccola località al confine con la Mauritania e con l’Azawad, come viene chiamata la zona sotto l’influenza salafita. Parigi ha intanto chiesto un intervento del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che si è riunito ieri. Per il governo francese la situazione «si sta evolvendo in modo positi­vo »: secondo il ministro degli Esteri, Laurent Fabius, l’in­tera operazione sarà questione «di settimane». Eppure l’Eliseo ha deciso ieri di inviare in Mali altri 1.900 sol­dati, in aggiunta ai 600 attuali, segno che l’intervento non sarà brevissimo. L’offensiva militare ha provocato una ritirata del gruppi salafiti nella parte orientale e meri­dionale del Paese, anche se all’ovest la situazione «resta difficile», per la presenza di ribelli armati fino ai denti. L’Ecowas ha convocato per venerdì un vertice straordi­nario ad Abidjan, in Costa d’Avorio. A ottobre una riso­luzione dell’Onu diede all’organismo africano l’incari­co di allestire una missione militare di 3.300 uomini. Dopo l’intervento francese, Niger, Senegal e Burkina Fa­so si sono impegnati a inviare 500 soldati ciascuno, al­tri 300 saranno messi a disposizione dal Togo, 600 dal- la Nigeria. Ieri pomeriggio si è riunita anche la «piat­taforma di crisi» sul Mali in seno all’Ue, mentre un sum­mit straordinario dei ministri degli Esteri europei si terrà in settimana, forse giovedì. Gli Stati Uniti sono pronti a offrire mezzi e intelligence. Canada e Danimarca han­no già messo a disposizione due aerei da trasporto, un C-17 e un Hercules C-130. Il Mujao avrebbe intanto sbarrato i confini con Niger e Burkina Faso e disseminato di mine la frontiera con que­sti due Paesi. In una nota, il gruppo ha spiegato che in­tende «trascinare» i Paesi africani che appoggiano l’o­perazione e la Francia in un conflitto «che non finirà presto». «Per i miscredenti e gli apostati – sostiene il gruppo – sarà la sconfitta, come è accaduto in Afghani­stan, Iraq e Somalia». Una colonna del Mujao si sareb­be diretta ieri verso Nara, nel sud-ovest del Mali. Da parte loro i ribelli separatisti tuareg si sono offerti di appoggiare l’intervento militare francese. «Possiamo fa­re noi il lavoro al suolo. Disponiamo di uomini, armi e, soprattutto, abbiamo la volontà di sbarazzare l’Azawad dai terroristi», ha riferito un portavoce del Mnla, il Mo­vimento di liberazione nazionale dell’Azawad, l’area del Nord considerata dai tuareg come loro madrepatria. Fu proprio la sollevazione dei tuareg che un anno fa inne­scò il colpo di stato militare in Mali, ponendo le pre­messe per quel vuoto di potere che incoraggiò la guer­riglia jihadista. Preoccupa, intanto, la situazione umanitaria. Alcune centinaia di maliani, in maggioranza provenienti da Lerè e di Konna, per sfuggire ai combattimenti hanno attra­versato il confine con la Mauritania. Una volta in terri­torio mauritano, i profughi hanno raggiunto la città di Fassala e qui sarebbero in attesa di aiuti. Per l’Onu gli sfollati, in tutto il centro-nord del Mali, sarebbero già 30mila.