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Kosovo. Alle urne in cerca di normalità

Claudio Monici domenica 8 giugno 2014
Sarà un vero banco di lavoro, determinante. Un esame da prova generale, per il futuro del Kosovo, dei suoi abitanti di etnia albanese che vogliono un loro Stato, e credono d’averlo creato già, e delle minoranze, soprattutto, quella serba segregata nelle numerose piccole e grandi enclave sparse ovunque nel minuscolo Paese dei Balcani, ma dove, ancora, si cerca di mantenere saldo il rapporto con la “Madre Serbia”, sentendosi a tutti gli effetti una Provincia di Belgrado.  In un generale «clima di stabilità e di calma», sottolineano fonti militari internazionali, dopo una campagna elettorale lampo, segnata da retorica nazionalista e promesse politiche, sotto l’occhio attento di 90 osservatori dell’Unione Europea e di quello discreto, ma vigile, della missione Nato della Kfor – 5.500 militari di 31 nazioni, a comando italiano –, sebbene ancora si registrano episodi di intolleranza interetnica, che comunque se dovessero sfuggire di mano potrebbero riaccendere la miccia della violenza urbana, oggi  il Kosovo torna alle urne. Si deve rinnovare l’Assemblea parlamentare. Vi concorrono più di 30 partiti, albanesi e serbi e di altre minoranze, 2.100 candidati, e a decidere sono chiamati a farlo più di un milione e settecentomila elettori aventi diritto al voto, su una popolazione di non più di 2 milioni. Nel 2010 a votare ci andarono in 700mila albanesi e solo due serbi. Il primo ministro uscente Hashim Thaci, leader della guerriglia albanese Uck nel 1999 e a capo del Partito democratico del Kosovo (Pdk), spera di strappare un terzo mandato in queste elezioni che sono la seconda tornata elettorale dalla proclamazione unilaterale di indipendenza di sei anni fa. Ma stando alle valutazioni degli analisti locali, questa volta ci sarà un testa a testa con il partito della Lega democratica del Kosovo (Ldk). Partito fondato dal Ghandi dei Balcani, Ibrahim Rugova negli anni bui della repressione serba, e oggi guidato da Isa Mustafa. Ma c’è anche una terza forza, e soprattutto la vera incognita di questo voto, che è il partito Vetevendoje, Autodeterminazione. Un movimento nazionalista trasversale alla politica a tutto campo che non si fa scrupoli a richiamare il Kosovo all’unità con la vicina Albania, tanto che nella capitale Pristina sventola una gigantesca bandiera di Tirana fatta issare dal sindaco Amethi eletto in questo partito nelle scorse amministrative. I leader di Autodeterminazione inoltre respingono ogni ipotesi di dialogo con la minoranza serba, compreso lo storico accordo del 19 aprile 2013 sulla normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado, un accordo che ha reso possibile l’avvio del negoziato di adesione della Serbia alla Ue e colloqui tra Pristina e Bruxelles su un’intesa di “Associazione e stabilizzazione”. E in più, ancora, accusano la politica tradizionale di fare promesse che non mantengono e di costare troppo. In un Paese in crisi economica e con un alto tasso di disoccupazione sono slogan che faranno sicuramente effetto sugli elettori. Un voto anticipato, quello che si tiene oggi, dopo che l’Assemblea parlamentare a Pristina, il 9 aprile scorso, è stata sciolta con il consenso di tutti i partiti. Una decisione seguita a una serie continua di fallimenti politici sulla  via delle riforme costituzionali e della pacificazione nazionale, compreso il nodo cruciale quello della nascita di un nuovo esercito. Ma anche il nodo della costituzione di un Tribunale speciale per i crimini di guerra che metterebbe in seria difficoltà molti uomini politici, compreso il premier uscente, che hanno partecipato alla guerra del 1999.Voteranno gli albanesi del Kosovo indipendente, quello dichiarato unilateralmente nel febbraio del 2008, ma assolutamente non riconosciuto dalla Serbia, come pure dalla Russia, ma a tutt’oggi già accolto nel seno internazionale da più di cento nazioni, tra cui l’Italia. Una indipendenza che sei anni fa fece salire la febbre diplomatica tra Mosca e la Comunità occidentale, un po’ come oggi accade per la vicenda Ucraina.  Ma, questa volta, almeno così promettono di fare, voteranno anche molti degli oltre 130mila serbi che ancora si sentono i cittadini della Provincia serba di Kosovo e Methodja. Belgrado, questa volta, li spinge verso la competizione elettorale.