Aleppo sta morendo. «Siamo allo stremo, senza più gas e benzina, con l’elettricità per un’ora al giorno e l’acqua che arriva nelle case solo quando lo decidono i jihadisti che hanno il controllo di due terzi del territorio cittadino e anche delle fonti idriche». È la drammatica testimonianza dell’arcivescovo degli Armeni cattolici della città siriana, monsignor Boutros Marayati. Il presule è intervenuto ieri alla proiezione del documentario Syria’s Christian Exodus, realizzato dalla regista Elisabetta Valgiusti nelle zone colpite dalla guerra che sta incendiando l’area al confine tra Siria e Iraq.Così la forza delle parole dell’arcivescovo si è sovrapposta a quella delle immagini, per raccontare una tragedia che sta mietendo vittime, causando un esodo di proporzioni davvero bibliche e, oltre tutto, sta seriamente danneggiando chiese e monumenti.
«Hanno bombardato anche la nostra cattedrale di Aleppo», sottolinea monsignor Marayati. E nel documentario il patriarca melchita Gregorios III Laham afferma che sono 91 finora le chiese distrutte in tutta la Siria. La proiezione di ieri, svoltasi nella sede del Pontificio Istituto Orientale di Roma (presente padre Philippe Luisier, decano della Facoltà di Scienze ecclesiastiche Orientali, che ha portato il saluto dell’istituzione ospitante), è servita anche a fare il punto della difficile situazione dei cristiani nella regione.
L'arcivescovo degli Armeni cattolici, monsignor Boutros Marayati «Prima dell’inizio della guerra – afferma Marayati – c’erano 60mila cattolici ad Aleppo, oggi sono solo 20mila. Gli abitanti della città sono diminuiti da 120mila a 40mila. Non si può continuare con questa politica di far andar via i cristiani». È forse in atto una sorta di pulizia etnica? «Non posso dire questo – risponde l’arcivescovo – ma è un fatto che i cristiani vengono messi nelle condizioni di fuggire. E questo è tanto più grave se si considera che la nostra è la terra dove San Paolo ebbe la sua conversione e dove – nella vicina Antiochia – i discepoli di Gesù per la prima volta furono chiamati cristiani». Marayati, incontrando i giornalisti prima della proiezione, ha lanciato un appello: «Basta con la guerra e la violenza. Fermiamo anche la vendita di armi agli jihadisti. Tutto ciò è folle, non si può continuare su questa strada. Dopo 4 anni ci chiediamo a cosa serva questa guerra. Ci era stato detto che era la Primavera araba, ma ha portato solo lutti e distruzioni. Ci era stato detto che veniva fatta in nome della libertà e della democrazia, ma per ora non abbiamo né l’una, né l’altra. Basta, fermiamo le armi». La conferma viene anche dal filmato. I rifugiati siriani descrivono terrore, crimini, persecuzioni. E la profonda preoccupazione per il presente e il futuro dei cristiani è testimoniata dai patriarchi intervistati da Elisabetta Valgiusti. Oltre al già citato Gregorios III Laham, nel documentario offrono la loro testimonianza l’armeno cattolico Nerses Bedros XIX, il siro cattolico Ignace Joseph III Younan, lo stesso Marayati, l’arcivescovo melchita Clemens Jeanbart e il siro cattolico Denis Chadda. «Tutti – afferma la regista – accusano con coraggiosa determinazione i diversi gruppi armati di jihadisti e le milizie islamiche radicali per le violenze e le distruzioni nelle città e nei villaggi siriani». Il reportage allarga quindi lo sguardo all’intera regione mediorientale grazie ad altre voci: il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, l’arcivescovo maronita di Beirut Paul Youssef Matar, l’arcivescovo melchita di Amman Yaser Al-Ayyash, il vescovo Siro Cattolico di Mosul Boutros Mouches. Inoltre, il presidente di Caritas Libano, padre Paul Karam, descrive gli effetti dell’emergenza di un milione e 500mila rifugiati siriani in Libano. Valgiusti non è nuova a questo tipo di documentari. Ne ha già realizzati altri 13 per conto della tivù cattolica statunitense Ewtn.