Testimonianza. «Aleppo è una città senza futuro»
Ha conosciuto per tre volte le patrie galere. Per mesi, dall’agosto del 2011, nessuno ha saputo più nulla di lei fino a quando una azione internazionale di Amnesty l’ha portata in un’aula di Tribunale. Hanadi Zahlaout, 33 anni, sotto lo pseudonimo di Hiam Giamil («Hiam la bella») diffondeva via Facebook i video degli attivisti picchiati mentre a Damasco protestavano contro il presidente Assad. Oggi Hanadi vive in Francia e testimonia al mondo le sofferenze del suo popolo, stretto tra la repressione del governo, l’offensiva militare delle opposizioni armate e le violenze barbare del Califfato. Ieri Hanadi ha denunciato, in una conferenza internazionale organizzata a Valencia dalla Fondazione Terzo Pilastro, Italia e Mediterraneo sul ruolo delle donne nella fase di transizione dei Paesi del bacino dei Mediterraneo, la particolare situazione di oppressione in cui vivono le donne siriane. «Sono le donne e i bambini le prime vittime della guerra: decine di migliaia giacciono nelle prigioni del regime. Soffrono sotto i bombardamenti di Aleppo. Nelle aree occupate dall’Is sono schiave sessuali. Muoiono di fame nell’enorme capo profughi di Yarmuk, alle porte di Damasco. Sono in balia di ogni violenza, senza protezione, nei campi per i rifugiati».E se prima della “rivoluzione siriana” del 2011 le donne non potevano uscire di casa senza l’autorizzazione dei mariti, racconta Hanadi, oggi hanno loro malgrado conquistato una atroce “libertà”: «Curano i feriti nelle zone di battaglia. Vivono da sole perché gli uomini o sono morti, o in prigione o in guerra, e accudiscono i bambini in solitudine. Nei territori del Califfato mandano i figli bambini a combattere e, mentre aspettano che questa mostruosità finisca, vengono raggiunte dalla notizia delle loro morte».Hanadi dalla Francia si sposta continuamente sul confine turco – per lei per ora è impossibile rientrare a Damasco come desidererebbe – e da lì raccoglie e diffonde in Europa testimonianze e vicende di donne che anche in questi mesi si oppongono alla violenza e all’oppressione.«Nelle prigioni di Damasco ci sono molte detenute, e le giornaliste che ancora vogliono gridare parole di libertà non hanno i mezzi economici per lavorare e mantenersi. Nei confini del Califfato una donna si è esposta in prima persona, protestando davanti alla sede dello Stato islamico a Raqqa, e ora è esule. Sono segnali di speranza, le donne non sono avvezze alle armi, rispondono all’istinto materno di costruire anziché di distruggere», ragiona la giovane attivista, che dopo il suo rilascio ha scritto un libro in arabo “A mia figlia”, raccolta di racconti dalla prigionia. La situazione di Aleppo la preoccupa in particolare, perché se prima della guerra civile era una città votata all’istruzione, dove i bambini venivano mandati a scuola e ora è diventata campo di battaglia tra l’esercito governativo e i gruppi jihadisti che sognano di conquistarla per farne lo «Stato islamico perfetto». Ora gli istituti si sono svuotati: «Numerosi alunni sono stati uccisi nelle loro aule, e ora le scuole sono chiuse. Non ci sono più bambini in classe e questo equivale a dire che si sta distruggendo il futuro».