La svolta. Dopo-Karzai, voto nel sangue in Afghanistan
L’offensiva terroristica i taleban l’avevano promessa ancora giovedì, appena chiusi i comizi e terminati gli appelli per le 48 ore di silenzio preelettorale: «Tutto in queste elezioni falsificate è sotto il tiro diretto dei nostri mujaheddin», avevano avvisato. Già il 10 marzo l’Emirato islamico dell’Afghanistan del mullah Omar aveva ordinato ai suoi guerriglieri «di usare tutta la forza a loro disposizione per far fallire le false elezioni ». Una controffensiva militare alla scelta democratica di un successore di Ahmid Karzai – che dopo due mandati non può più ripresentarsi – in grado di garantire la sicurezza del Paese anche dopo la partenza dell’ultimo uomo del-l’Isaf, il contingente internazionale dell’Onu il cui mandato scade a fine anno. Uno scontro drammatico e che già nelle scorse settimane aveva fatto le sue vittime. Proclami, tuttavia, che non avevano fermato due veterane come la fotografa tedesca Anja Niedringhaus e la giornalista canadese Kathy Gannon da anni impegnate in missioni in Afghanistan e pronte a documentare anche queste decisive giornate. Erano giunte nel remoto distretto di Tanai, al confine con il Pakistan, con gli uomini della commissione elettorale. Guardare con i propri occhi il profondo Afghanistan, capire cosa sarebbe successo anche lontano dai palazzi di Kabul, il loro desiderio prefessionale. All’improvviso un uomo, in divisa da poliziotto al grido di «Allah u Akbar» ha sparato sull’auto delle due donne intente a parlare con dei locali: Anja Niedringhaus, premio Pulitzer nel 2005, una vita passata anche sui fronti nei Balcani e in Medio Oriente, è morta sul colpo. Ferita la sessantenne Khaty Gannon, che non pare essere in pericolo di vita. L’uomo in divisa da poliziotto è stato arrestato: quasi certamente si tratta di un militante taleban “in sonno” nelle forze dell’ordine.
Una vera vigilia di sangue per delle elezioni che oggi sanciranno, dopo la guerra del 2001, il primo vero passaggio di potere con il metodo democratico in una Paese che ha sempre privilegiato logiche tribali e difesa di interessi precostituiti. Oggi 12 milioni di afghani sono chiamati a scegliere il nuovo presidente e quindi determinare il dopo- Karzai. Un avvicendamento che si preannuncia lungo ed esposto a molti rischi e quindi lascia ancora poco margine per completare l’accordo con Washington e Bruxelles per mantenere nel Paese, seppur sotto forma di addestratori, un contingente occidentale dopo che il grosso avrà completato il ritiro. Un progetto osteggiato da Karzai che si è scontrato più volte con Barack Obama, ma su cui sono parsi possibilisti i tre principali contendenti.
Sono tre, su otto in lizza, i candidati che si contenderanno così la guida dell’Afghanistan: l’ex ministro degli Esteri di Karzai, Abdullah Abdullah, l’economista Ashraf Ghani e Zalmai Rassoul, pure lui ex ministro degli Esteri. Ma sul voto pesano due grandi incognite: la sicurezza degli elettori dato che almeno un decimo dei seggi non sono nemmeno stati aperti e il rischio di brogli. Già accertati i casi di registrazioni doppie o triple di uno stesso elettore in più circoscrizioni: addirittura ad Herat il numero dei votanti registrati supera quello dei residenti. A suscitare molte apprensioni anche i tempi lunghi del processo elettorale, con un secondo turno se nessuno supererà il 50% atteso per il 28 maggio e il passaggio di consegne che quindi potrebbe slittare a ottobre.
La Commissione elettorale indipendente ha già preannunciato che ci vorranno sei settimane prima di poter annunciare i risultati della votazione di sabato, dal momento che bisognerà attendere il trasferimento a Kabul di tutte le schede, alcune delle quali giungeranno dalle aree più impervie grazie a 3mila muli. Inevitabili poi le contestazioni per brogli e le denunce di mancanza di sicurezza specie nelle regioni dove i seggi non sono nemmeno stati aperti mentre la maggior parte degli osservatori internazionali nelle scorse settimane hanno preferito lasciare il Paese.
Comunque una svolta, a tredici anni dalla guerra nel 2001 e quasi 3.500 militari della coalizione internazionale rimasti uccisi e molte altre migliaia di vittime tra le forze di sicurezza afghane, oltre a decine di miliardi di dollari spesi in aiuti.