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La svolta. Dopo-Karzai, voto nel sangue in Afghanistan

Luca Geronico venerdì 4 aprile 2014

L’offensiva terroristica i ta­leban l’avevano promes­sa ancora giovedì, appena chiusi i comizi e terminati gli ap­pelli per le 48 ore di silenzio pre­elettorale: «Tutto in queste elezio­ni falsificate è sotto il tiro diretto dei nostri mujaheddin», avevano avvisato. Già il 10 marzo l’Emirato islamico dell’Afghanistan del mullah Omar aveva ordinato ai suoi guerriglieri «di usare tutta la forza a loro di­sposizione per far fallire le false e­lezioni ». Una controffensiva mili­tare alla scelta democratica di un successore di Ahmid Karzai – che dopo due mandati non può più ri­presentarsi – in grado di garantire la sicurezza del Paese anche dopo la partenza dell’ultimo uomo del-­l’Isaf, il contingente internaziona­le dell’Onu il cui mandato scade a fine anno. Uno scontro drammati­co e che già nelle scorse settimane aveva fatto le sue vittime. Proclami, tuttavia, che non aveva­no fermato due veterane come la fotografa tedesca Anja Niedrin­ghaus e la giornalista canadese Kathy Gannon da anni impegnate in missioni in Afghanistan e pron­te a documentare anche queste de­cisive giornate. Erano giunte nel re­moto distretto di Tanai, al confine con il Pakistan, con gli uomini del­la commissione elettorale. Guar­dare con i propri occhi il profondo Afghanistan, capire cosa sarebbe successo anche lontano dai palaz­zi di Kabul, il loro desiderio prefes­sionale. All’improvviso un uomo, in divisa da poliziotto al grido di «Allah u Akbar» ha sparato sull’au­to delle due donne intente a parla­re con dei locali: Anja Niedrin­ghaus, premio Pulitzer nel 2005, u­na vita passata anche sui fronti nei Balcani e in Medio Oriente, è mor­ta sul colpo. Ferita la sessantenne Khaty Gannon, che non pare esse­re in pericolo di vita. L’uomo in di­visa da poliziotto è stato arrestato: quasi certamente si tratta di un mi­litante taleban “in sonno” nelle for­ze dell’ordine.

Una vera vigilia di sangue per del­le elezioni che oggi sanciranno, do­po la guerra del 2001, il primo vero passaggio di potere con il metodo democratico in una Paese che ha sempre privilegiato logiche tribali e difesa di interessi precostituiti. Oggi 12 milioni di afghani sono chiamati a scegliere il nuovo presi­dente e quindi determinare il do­po- Karzai. Un avvicendamento che si preannuncia lungo ed esposto a molti rischi e quindi lascia ancora poco margine per completare l’ac­cordo con Washington e Bruxelles per mantenere nel Paese, seppur sotto forma di addestratori, un con­tingente occidentale dopo che il grosso avrà completato il ritiro. Un progetto osteggiato da Karzai che si è scontrato più volte con Barack O­bama, ma su cui sono parsi possi­bilisti i tre principali contendenti.

Sono tre, su otto in lizza, i candi­dati che si contenderanno così la guida dell’Afghanistan: l’ex mini­stro degli Esteri di Karzai, Abdullah Abdullah, l’economista Ashraf Ghani e Zalmai Rassoul, pure lui ex ministro degli Esteri. Ma sul voto pesano due grandi incognite: la si­curezza degli elettori dato che al­meno un decimo dei seggi non so­no nemmeno stati aperti e il rischio di brogli. Già accertati i casi di re­gistrazioni doppie o triple di uno stesso elettore in più circoscrizio­ni: addirittura ad Herat il numero dei votanti registrati supera quello dei residenti. A suscitare molte ap­prensioni anche i tempi lunghi del processo elettorale, con un secon­do turno se nessuno supererà il 50% atteso per il 28 maggio e il pas­saggio di consegne che quindi po­trebbe slittare a ottobre.

La Commissione elettorale indi­pendente ha già preannunciato che ci vorranno sei settimane prima di  poter annunciare i risultati della votazione di sabato, dal momento che bisognerà attendere il trasferi­mento a Kabul di tutte le schede, alcune delle quali giungeranno dal­le aree più impervie grazie a 3mila muli. Inevitabili poi le contestazio­ni per brogli e le denunce di man­canza di sicurezza specie nelle re­gioni dove i seggi non sono nem­meno stati aperti mentre la mag­gior parte degli osservatori inter­nazionali nelle scorse settimane hanno preferito lasciare il Paese.

Comunque una svolta, a tredici an­ni dalla guerra nel 2001 e quasi 3.500 militari della coalizione in­ternazionale rimasti uccisi e molte altre migliaia di vittime tra le forze di sicurezza afghane, oltre a decine di miliardi di dollari spesi in aiuti.