Il tema. L'Afghanistan dei taleban si riapre al turismo, tra rischi e dubbi etici
Uno dei luoghi più amati dai turisti in Afghanistan: il parco nazionale di Band-e.Amir, a Bamyian
Il post-pandemia ha aperto a un flusso di viaggiatori verso mete lontane che ha pochi precedenti e poche eccezioni. Una di queste è l’Afghanistan, uno dei più interessanti o, per meglio dire, drammatici di regressione dell’industria turistica che invece altrove sta risultando determinante non soltanto come risorsa economica ma anche come di strumento di sviluppo socio-culturale.
Negli anni Settanta e fino all’invasione sovietica del 1979, l’Afghanistan era un Paese aperto, tappa essenziale sull’Hippie Trail, la Pista hippie, dall’Europa al Nepal, da Londra a Kathmandu. Decenni di conflitto hanno successivamente segnato il Paese che solo nel 2011 si è aperto nuovamente a un flusso di visitatori sensibilmente inferiore, che ha però propiziato un maggiore coinvolgimento delle comunità locali con modalità eco-sostenibili e, in tempi più recenti fino all’offensiva finale dei taleban nel 2021, aveva via via accolto attività innovative come la pratica degli sport invernali, trekking, ciclismo, arrampicata.
Dopo la presa di potere dei taleban nell’agosto di due anni fa, con il collasso del governo afghano e la ritirata simile a una fuga delle forze della coalizione, un regime che necessita di valuta pregiata quanto di legittimazione ha deciso di incentivare l’ingresso di stranieri e, pur avvertendo di serie conseguenze per il mancato rispetto delle sue rigide regole di osservanza islamica e tribale, consente oggi di ottenere un visto di ingresso nelle ambasciate dell’Emirato islamico dell’Afghanistan nei pochi Stati che lo riconoscono.
Gli arrivi sono ripresi e vanno aumentando, avendo come mete soprattutto la città di Herat, la Valle di Bamyan con le colossali vestigia buddhiste distrutte dai Taleban nel 2001, lo spettacolare minareto di Jam sulle montagne della provincia di Ghor, l’antica Kandahar, la vivacità dei bazar di Kabul, le gemme turchesi dai laghi di Band-i-Amir, la quiete bucolica e la drammatica natura del Corridoio di Wakhan incuneato tra Pakistan, Cina e Tajikistan.
L’Afghanistan, tuttavia, non è ancora in pace. I taleban devono contrastare l’influenza di gruppi jihadisti che reagiscono con azioni terroristiche ma anche una generale critica per il ritorno all’islam oscurantista che li caratterizza.
Nonostante questo, influencer e youtuber di varia provenienza entrati nel Paese hanno diffuso l’idea che il viaggio sia comunque possibile e hanno contribuito a un crescente interesse per un’esperienza diretta che si scontra con l’opera di dissuasione di molte diplomazie.
“I viaggi in Afghanistan sono sconsigliati a qualsiasi titolo” segnala il sito Viaggiaresicuri.it della Farnesina, elencando una serie di rischi per chi volesse comunque tentare un accesso che solletica molti. Alcuni tour operator, anche italiani (Azalai, Bhs Travel, Overland Viaggi, Viaggi Tribali...) hanno messo a disposizione itinerari selezionati per cercare di garantire un’esperienza sicura ai propri viaggiatori. Esperienza che potrebbe mettere rischio anche chi ai visitatori è chiamato a fornire guida, assistenza, trasporto, vitto e alloggio. Non è un caso se molti afghani impiegati a vario titolo nell’industria turistica hanno preferito l’espatrio e la vita del profugo al rischio di ritorsioni. Cercando dove possibile di preservare tradizioni e espressioni culturali, proponendole a chi fosse interessato a condividerle attraverso eventi di vario genere. “Il nostro obiettivo è solo far sapere alla gente che nel nostro Paese c’è anche qualcosa di bello”, spiegava qualche tempo fa a National Geographic Noor Ramazan, guida turistica ora in Australia. “Storicamente, i talebani non hanno mai compreso appieno il turismo. I turisti sono considerati infedeli e le guide schiave di quegli infedeli”.
La situazione “sul campo” è aperta a sviluppi, magari anche positivi, ma lo scetticismo è forte. Difficile dire se i taleban accetteranno o rifiuteranno un turismo più consistente o quanto lo sottometteranno alle loro regole.
“Nessuno è in pericolo in Afghanistan. Gli allarmi diffusi da diversi Paesi sono sbagliati, perché noi vediamo un costante arrivo di viaggiatori e nessuno è stato minacciato, soprattutto stranieri che entrano legalmente”, ha dichiarato recentemente il portavoce del regime, Zabiullah Mujahid.
Diversa, forse la più critica, la posizione del Dipartimento degli Affari esteri australiano ribadita in un suo comunicato: “È presente a livello elevato il rischio di attacchi terroristici in tutto l’Afghanistan, inclusa Kabul. I terroristi continuano a prendere di mira stranieri, Ong e operazioni umanitarie. Cittadini stranieri, inclusi australiani, corrono anche un forte rischio di rapimento o detenzione. Non ci sono funzionari australiani in Afghanistan e la nostra capacità di garantire assistenza consolare o per i passaporti ad australiani nel Paese è estremamente limitata”.
Non è solo il governo di Canberra a disincentivare viaggi nel Paese asiatico, ma segue simili iniziative di Germania, Regno Unito e Russia, fra gli altri.
Restando in Italia, alcune agenzie continuano a proporre, come hanno fatto negli anni passati, accesso al solo Corridoio di Wakhan non sbarcando all’aeroporto di Kabul ma attraversando la frontiera dal Tajikistan, mentre altre stanno cercando di capire come orientarsi in una situazione instabile per rispondere alle richieste della loro clientela.
Il dibattito aperto non riguarda soltanto la logistica del viaggio e la sicurezza, ma pone più di qualche problema etico, in particolare a quelle organizzazioni che nel rispetto dell’ambiente e delle culture, ma anche dei diritti delle donne, dei bambini e delle minoranze, nella libertà di espressione e di fede vedono fattori determinanti nelle loro proposte.
Industria fragile perché risente facilmente delle contingenze interne e internazionali, di conflitti e catastrofi, il turismo ha sviluppato una sensibilità per le condizioni ambientali, dei modi di vita, dei sistemi di governo, dei diritti umani e delle libertà che ha portato a vademecum di comportamento e a campagne di boicottaggio. Questo però, se ha influito pesantemente sul turismo verso il Sudafrica dell’apartheid, non ha interrotto il flusso di visitatori verso l’Iran degli ayatollah, o - solo per fare un esempio in Asia - verso la Birmania/Myanmar durante il mezzo secolo di dittatura militare.
È un fatto che un gran numero di viaggiatori punta a mete esotiche, esclusive o anche “avventurose” ed è altrettanto vero che molti operatori sono in grado di accontentarli approfittando del “via libera” di governi che da questo traggono benefici economici e di immagine.
Tuttavia, in aree del mondo dove interessi di potere, religione o predominio etnico-culturale discriminano ampie parti della popolazione, il turismo ha una pesante responsabilità. In Afghanistan, è ancora una volta posto davanti al dilemma se ignorare l’esistenza di un Paese di forte attrazione per non favorire uno regimi più illiberali del pianeta concedendogli riconoscimento e preziosa valuta oppure cercare un compromesso che garantisca anche impieghi e possibilità agli afghani coinvolti.