Giornata mondiale della radio. Afghanistan, quando una trasmissione salvò delle vite
Camp Arena, il quartier generale italiano ad Herat, in Afghanistan in un’immagine d’archivio
Afghanistan, 2009. Dal cassetto dei ricordi del tenente colonnello Alessandro Faraò, in servizio a Camp Arena, ad Herat, riemerge una storia di umanità a quasi 5mila chilometri dall’Italia: “Sfruttando tutti i mezzi di comunicazione, tra cui anche quelli più tradizionali come la radio – ricorda Faraò, impegnato nel reparto appartenente al 28° “Pavia” Comunicazioni Operative di Pesaro - venne allestito uno studio radiofonico e invitammo alcuni speaker tra la popolazione locale. La scelta ricadde sui laureati presso la facoltà di giornalismo all’Università di Herat che già era dotata di un suo canale radiofonico. Capimmo subito che offrire la chance di parlare a tutta la popolazione afghana sarebbe diventata la loro missione. E così i giovani cronisti il 19 aprile 2010 andarono per la prima volta on-air dai microfoni di Radio Sada e Azadi”.
Una storia che l'ufficiale racconta per la Giornata mondiale della radio 2025 promossa dall'Unesco per ricordare l'importanza di un canale di informazione e supporto per la diffusione della cultura e della libertà di parola. Grazie a giornaliste e giornalisti “capaci e motivati che si presero cura di rubriche e notiziari trasmessi nelle due lingue principali del territorio, il Dari e Pashtu, si trattavano temi di salute, tematiche ambientali, curiosità, notizie dal mondo e ovviamente musica. Tanta musica” dice Faraò. Venivano anche ricordate “importanti personalità afghane del passato, del mondo femminile e delle opportunità ad esso riservate, fino ai consigli utili per le mamme – spiega l’ufficiale -. Un palinsesto strutturato su due momenti della giornata dedicati alla regione di Herat per un totale di sei ore giornaliere inserite nelle restanti diciotto trasmesse da Kabul”. Tutto orientato a rendere Radio Bayan West, nuovo nome dal 2013, un canale amico da ascoltare e al quale rivolgersi in caso di bisogno.
“A tal proposito – sottolinea Faraò - mi piace ricordare due episodi su tutti: uno legato alla pubblicizzazione di una segreteria telefonica per la registrazione di messaggi radiofonici da parte degli ascoltatori; l’altro relativo alla promozione di una specifica campagna per contrastare il fenomeno dei micidiali ordigni improvvisati, i cosiddetti Ied, ossia Improvised Explosive Device. Il primo si rivelò un successo immediato, la segreteria telefonica si riempì in pochissimo tempo di richieste musicali, ringraziamenti e saluti. Ma fu durante un pomeriggio di un giorno gelido, tipico dell’inverno afghano, che le cose assunsero improvvisamente una dimensione drammatica. Le tanto attese piogge arrivarono e, con esse, le slavine che spinsero qualcuno a registrare un messaggio che urlava: abbiamo bisogno di aiuto! È venuta giù una valanga. Non sappiamo chi chiamare! Aiutateci”. Fu solo l’inizio, per uno strumento che si rivelò prezioso: “Nei giorni successivi seguirono altri vocali di richieste di aiuto: sono terminate le medicine, c’è un check point dei taleban vestiti da poliziotti”, racconta il militare. Il secondo episodio è legato a uno spot radiofonico sugli ordigni esplosivi improvvisati il quale invitava chiunque avesse notato attività sospette a segnalarle al numero d’emergenza della polizia locale: “Dopo un periodo di osservazione della campagna informativa, le chiamate di allarme aumentarono di oltre l'80 per cento e con esse i ritrovamenti di ordigni improvvisati. Se quell'unico spot radiofonico è riuscito a salvare anche una sola vita, per noi la missione, quella di aiutare la popolazione afghana era compiuta – riflette Faraò -. La radio ormai si era trasformata in strumento credibile e di utilità per la popolazione e di sicurezza per il contingente italiano”.