Il volto sporco della guerra afghana, quello nascosto dalla routine delle veline dei generali, ha fatto irruzione ieri, dato in pasto brutalmente a un’opinione pubblica americana che di quella guerra da tempo è stanca. Spuntano notizie di civili ammazzati di cui non si è mai saputo nulla e di complicità pachistane con i taleban, di presunti crimini di guerra e di un vero e proprio «squadrone della morte» americano. Tutto quello che insomma di una guerra non si è potuto mai raccontare è emerso prepotentemente dai 92mila rapporti del Pentagono scovati dal sito
Wikileaks e passati al
New York Times, al
Guardian e a
Der Spiegel. Che non hanno esitato a pubblicare, a far emergere un’immagine devastante di quello che è effettivamente successo in Afghanistan dal gennaio del 2004 al dicembre del 2009. Innescando la rabbia della Casa Bianca e delle autorità pachistane.Proprio il Pakistan è sul banco degli imputati per la sua presunta collaborazione con al-Qaeda: dalle carte emerge che il governo di Islamabad, «ostentatamente alleato degli Stati Uniti, ha permesso a funzionari dei suoi servizi segreti di incontrare direttamente i capi taleban per organizzare reti di gruppi militanti che combattessero contro i soldati americani, e perfino per mettere a punto complotti per eliminare leader afghani». Un doppio gioco, insomma.I documenti, inoltre, sottolineano che i taleban sono in grado di utilizzare «missili portatili a ricerca di calore contro gli aerei della Nato» come gli Stinger che la Cia fornì ai mujaheedin di Osama Benladen «per combattere contro i sovietici negli anni ’80». Dall’arrivo di Obama alla Casa Bianca, peraltro, le truppe Usa «usano molti più droni (aerei senza piloti) malgrado le loro performance siano meno notevoli di quanto ufficialmente riferito. Alcuni si sono schiantati al suolo o si sono scontrati in volo, costringendo le truppe americane ad intraprendere rischiosissime operazioni di recupero prima che i taleban riuscissero ad impadronirsi dell’armamento e (della tecnologia) dei droni».Ce n’è anche per la Cia, che ha «allargato le operazioni paramilitari in Afghanistan» e «dal 2001 al 2008 ha finanziato il budget dell’intelligence afghana, trattandola come una sua affiliata virtuale». E poi l’Iran, che starebbe conducendo una battaglia silenziosa contro gli americani fornendo armi e soldi ai taleban, oltre che addestrando gruppi di militanti.Ancor più drammatica la parte dei documenti che riferisce di stragi di civili mai divulgate: sono 144 gli episodi di cui si parla. Secondo le stime ufficiali 195 civili sono rimasti uccisi e 174 feriti nel corso di «incidenti» di questo genere ma la cifra è probabilmente sottostimata. Alcuni episodi sono stati provocati dai controversi raid aerei contro cui ha protestato il governo afghano, ma altri sono il frutto di sparatorie contro automobilisti o motociclisti disarmati per paura di potenziali attentatori suicidi.Dagli archivi emerge inoltre che la coalizione sta usando sempre più le armi letali Reaper per fulminare gli obiettivi taleban in modo telediretto da una base del Nevada. Nonostante questo la considerazione finale del
New York Times è amara: «Dopo aver speso 300 miliardi di dollari in Afghanistan, gli studenti coranici sono più forti ora di quanto non lo fossero nel 2001».Oltre alla condanna della Casa Bianca, la pubblicazione dei documenti ha indispettito l’ambasciatore del Pakistan negli Usa, Husain Haqqani, che l’ha definita «irresponsabile». Ma il
New York Times ha replicato sostenendo di aver ritenuto «di pubblico interesse» il materiale. Da parte sua il fondatore di
Wikileaks, l’ex hacker Julian Assange, ha parlato di «buon giornalismo».E ribadito che nei documenti «sembra ci siano le prove di crimini di guerra» commessi dalle truppe Usa. Assange ha citato le operazioni della Task Force 373, «uno squadrone della morte» incaricato di eliminare singole persone incluse in una lista nera. «Hanno assassinato almeno sette bambini e altri innocenti», ha riferito Assange sottolineando che a decidere chi doveva finire sulle liste «erano i governatori locali o altre autorità sulla base di prove deboli e senza il controllo di alcun giudice».