Se l’accesso all’acqua non è garantito a circa la metà della popolazione mondiale, è allora necessaria una «governance internazionale» che consenta «a tutti e ovunque» un consumo «regolare e adeguato». Contestualmente, vanno istituite «corti di giustizia» per individuare e punire i responsabili dei «danni causati al bene dell’acqua e proporre possibili riparazioni o sanzioni». Inoltre, per affermare un reale «principio di giustizia» e una «suddivisione equa degli investimenti necessari a promuovere l’attuazione del diritto all’acqua», potrebbe essere introdotta «una tassazione sulle transazioni finanziarie».Sono queste alcune delle piste di lavoro individuate dal Vaticano per il 6° Forum mondiale dell’acqua, in corso da ieri a Marsiglia, nel documento del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, intitolato “Acqua, un elemento essenziale per la vita”. Le proposte della Santa Sede sono state accolte con favore da Federutility, la Federazione che riunisce oltre 400 imprese idriche ed energetiche, rappresentando la quasi totalità dei gestori italiani del servizio idrico integrato. «L’appello ci trova concordi in tutto», ha detto Mauro D’Ascenzi, vicepresidente di Federutility.Dopo aver ricordato il contributo della Chiesa cattolica al dibattito internazionale sull’acqua (dal Forum di Kyoto 2003, a quelli di Mexico 2006 e Istanbul 2009), il documento analizza la situazione dell’accesso all’acqua nel mondo, partendo dai dati diffusi dagli organismi internazionali. Cifre drammatiche che rappresentano una realtà di vera e propria emergenza umanitaria per miliardi di persone. Se, infatti, le “cifre della sete” riguardano 800-900 milioni di esseri umani, «adottando una definizione larga di accesso all’acqua» emerge un quadro ancora più preoccupante: 1,9 miliardi di persone avrebbero a disposizione solo acqua insalubre e 3,4 miliardi utilizzerebbero saltuariamente acqua di qualità insicura. «Secondo queste ultime statistiche – si legge nel documento della Santa Sede – l’accesso all’acqua potabile non sarebbe garantito a circa la metà della popolazione mondiale».A questo si deve aggiungere anche il fatto che, come documentato dall’Oms, «oltre un miliardo di persone non avrebbe accesso a nessun tipo di servizio igienico», con tutte le conseguenze del caso in termini di mancato «contrasto a possibili pericoli per la salute, causati dall’acqua inquinata o stagnante».Se questa è, purtroppo, la situazione comune in gran parte dei Paesi in via di sviluppo, «alcune società – scrive il Vaticano – hanno, invece, la possibilità di consumare, per diversi scopi più o meno essenziali, più volte al giorno, la quantità d’acqua indispensabile per una vita dignitosa e di cui sono tragicamente prive altre società». «Questa diseguaglianza non può essere approvata», sottolinea il documento della Santa Sede, così come «non possono essere lodate le società che consumano acqua per finalità superflue, in preda a un consumismo sempre più sfrenato, orientate all’accumulazione illimitata di beni, giacché rappresentano pratiche contrarie ad uno sviluppo sostenibile».Al contrario, sono da incentivare comportamenti improntati a «sobrietà e giustizia», tipici di una «società che persegue l’obiettivo di uno sviluppo sostenibile ed inclusivo».Da qui, allora, l’urgenza di una «governance internazionale» in grado di indicare «standard qualitativi e quantitativi» e di «garantire il primato della politica - responsabile del bene comune - sull’economia e la finanza».A questo proposito, il Vaticano ricorda che l’acqua «bene collettivo», non deve essere piegato a una visione meramente mercantile. L’errore di considerarla alla stregua di una mercanzia induce a «pianificare gli investimenti secondo il criterio del profitto per il profitto, senza tener conto della sua valenza pubblica» e porta, in definitiva, a fornirla «solo a chi è in grado di pagarla».