La speranza
è che l’accordo regga, dopo migliaia di
vittime, mezzo milione di profughi e il più giovane Stato africano spaccatop a
metà: da un lato i fedelissimi del presidente Salva Kiir e dall’altro i seguaci
dell’ex vicepresidente Riek Machar. Più di un mese di combattimenti che
l’accordo siglato dopo giorni di trattative ad Addis Abeba potrebbe fermare. Il
condizionale è d’obbligo, naturalmente, perché dopo le armi a parlare dovrà
essere invece la politica. E la ricomposizione sembra ancora problematica, tra
il leader che ha accusato il rivale di aver tentato un golpe e l’ex suo vice
che lo accusa di intrallazzi politici. Un segnale però forte esce da una crisi
che, sommata a quella dell’Est del Congo e del vicino Centrafrica aveva portato
gli analisti a definire la regione centrale africana il “triangolo della
morte”. Il segnale è la ricomposizione regionale del conflitto. Attraverso le
pressioni e la mediazione dell’Igad, l’organismo di cooperazione regionale che
si è sostituito ai tradizionali “facilitatori” di Nazioni Unite ed Unione
Africana. La “prossimità” ha vinto sull’insieme di equilibri labili che spesso
paralizzano le grandi organizzazioni. Non va però sottaciuto il ruolo svolto
dagli americani, grandi promotori dell’indipendenza sud sudanese di due anni
fa. I segnali arrivati da Washington sono stati più che chiari: addurre
connotazioni etniche o di potere ad uno scontro che era e resta prettamente
politico era fuorviante. Tradotto in soldoni significava lo stop al sostegno,
anche economico, del fragile Paese. Esisteva ed esiste, infatti, un pericolo
legato alla geopolitica dell’energia: il Sud Sudan è ricco di giacimenti
petroliferi, che fanno gola a parecchie potenze: prima fra tutte quella cinese
assetata di fonti primarie di energia. Il Nord islamista è rimasto infatti a
“secco” dopo l’indipendenza e l’interesse cinese e occidentale si è spostato
irrimediabilmente a sud. Da qui gli interessi sempre crescenti sulla regione e
direttamente proporzionale l’instabilità, soprattutto nelle aree petrolifere
che non sono state ancora assegnate dagli accordi che hanno portato al
frazionamento del gigante africano. Ora le pressioni, le garanzie e soprattutto
gli attori regionali dovranno sovrintendere al cessate il fuoco. Con la
speranza che regga e non ripiombi nel terrore un popolo già provato da anni di
massacri perpetrati dalle milizie del nord.