Migranti. Accoglienza diffusa: le richieste dei sindaci
I Comuni chiedono un ruolo di regia nella partita dell’accoglienza dei migranti. L’obiettivo resta allargare su tutto il territorio nazionale il modello Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, cercando di distribuire nel modo più equo possibile i carichi legati agli arrivi e alla gestione dei profughi. Sinora, infatti, sono solo 1.300 in Italia i centri coinvolti in programmi di accoglienza (tra chi ha risposto ai bandi Sprar e chi è stato coinvolto dalle Prefetture) mentre ben 6.200 sono paesi e città rimaste a guardare.
La svolta dovrebbe arrivare alla 33esima assemblea nazionale dell’Anci, che si svolgerà a Bari dal 12 al 14 ottobre, con l’indicazione di una quota tra il 2 e il 3 per mille di migranti per ogni Comune. «L’accoglienza diffusa è una condizione essenziale per coinvolgere le nostre comunità» spiega Franco Balzi, sindaco di Santorso, centro dell’Alto Vicentino di 6mila abitanti, capofila di una rete Sprar cui fanno riferimento 14 Comuni. «È oltre un anno che sperimentiamo il criterio della proporzionalità nell’accoglienza dei richiedenti asilo. Abbiamo giocato d’anticipo e in un certo senso ci sentiamo pionieri, dopo che su indicazione prefettizia ci siamo ritrovati sul territorio 80 persone dirottate direttamente in un albergo del nostro territorio».
Ecco il rischio che molti sindaci vogliono evitare: la creazione di piccoli grandi ghetti, dove chi è in attesa di una risposta da parte delle commissioni territoriali si ammassa senza soluzione di continuità, con potenziali effetti devastanti sulle comunità autoctone.
«Oggi, grazie a un lavoro di mediazione, quella struttura è stata quasi del tutto svuotata e molti profughi sono finiti in piccoli appartamenti. La logica della micro-accoglienza è molto più efficace» continua Balzi. «Per questo, è necessario restituire al Comune un ruolo di regia, poi va individuato un ente gestore affidabile e riconosciuto, in grado di valorizzare le realtà presenti sul territorio, a partire dalle associazioni e dalle parrocchie». Il risultato è che l’Alto Vicentino si prepara a decuplicare la propria offerta di posti: da 39 fino a 300-400. «Nel frattempo, coinvolgiamo i nuovi arrivati in percorsi di apprendimento della lingua, in attività di volontariato sociale, in lavori di pubblica utilità».
E le tensioni dentro i piccoli paesi? «Anche alcuni sindaci leghisti riconoscono che l’approccio pragmatico al problema funziona » ragiona il primo cittadino veneto. La questione è semplice ed è il sindaco di Cremona, Gianluca Galimberti, a spiegarla. «I Comuni virtuosi vanno aiutati e premiati, con incentivi e aiuti, a partire dalla possibilità di assumere personale in grado di rispondere a funzioni-chiave per l’integrazione, come i mediatori culturali».
Anche nel capoluogo di provincia lombardo, la richiesta rivolta alle istituzioni nazionali è la stessa: programmazione per uscire dalla logica dell’emergenza. «Bisogna aumentare i fondi e promuovere il modello Sprar, sapendo che i sistemi di accoglienza diffusa sono vincenti. A patto però che ci sia una solidarietà da parte di tutti i Comuni». Si torna così ai municipi che si sono chiamati fuori da quella che Galimberti definisce «una questione cruciale, strutturale. Basta pensare al fenomeno drammatico dei minori non accompagnati. È ora che tutti i sindaci facciano la loro parte, rimanere fuori è troppo comodo».