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L'anniversario. 11 luglio, a Srebrenica 28 anni di silenzio e 100 corpi senza nome

Riccardo Michelucci lunedì 10 luglio 2023

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Quel che resta del 15enne Elvir Salcinoviæ sarà inumato nella terra a ventotto anni di distanza dal genocidio. Il ragazzo troverà finalmente pace accanto al padre e al fratello, entrambi già sepolti alcuni anni fa nell’immenso memoriale di Potocari, a sei chilometri da Srebrenica.

Elvir è la più giovane delle trenta vittime che saranno inumate quest’anno, in un rito che si perpetua l’11 luglio, incessantemente, da ormai quasi tre decenni. Migliaia di persone si radunano nella piana di Potocari per ricordare il genocidio compiuto nel 1995 dalle milizie serbo-bosniache del generale Mladic e per tumulare i resti delle vittime identificate nell’ultimo anno dagli antropologi forensi attraverso l’analisi del Dna. Un centinaia di resti attendono ancora l’identificazione.

L’estrema complessità delle operazioni di identificazione deriva dal fatto che i cadaveri vennero sotterrati in più fosse comuni e in seguito estratti e distribuiti in altre fosse minori, anche a chilometri l’una dall’altra, per occultare le prove di quel crimine terribile. In alcuni casi i resti della stessa persona sono stati trovati anche in cinque fosse diverse, a distanza di anni.

Amor Masovic dell’Icmp, l’Istituto bosniaco per le persone scomparse, ha confermato che fino ad oggi sono state verificate le identità di 7.757 vittime e ha rinnovato l’appello alle autorità della Republika Srpska, l’entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, affinché contribuiscano alle ricerche e all’identificazione dei resti.

Secondo gli ultimi dati resi noti dall’Istituto, tra gli scomparsi di Srebrenica circa un migliaio di persone mancano ancora all’appello e la ricerca dei luoghi di sepoltura prosegue a ritmo incessante. A tale scopo l’Icmp ha istituito anche un numero telefonico e un’applicazione online per segnalare – in forma anonima – l’esistenza di nuove fosse comuni.

Ma l’agghiacciante contabilità delle vittime non basta a circoscrivere una tragedia che ancora oggi paralizza il Paese e inquina i rapporti con la Serbia, che non ha mai voluto riconoscere i fatti di Srebrenica come «genocidio», nonostante le inequivocabili sentenze della giustizia internazionale. Proprio in questi giorni, all’Alta Corte di Belgrado, sono in corso i processi a sette ex membri delle forze speciali della polizia serbo-bosniaca per il loro presunto coinvolgimento negli eccidi del luglio 1995.

Alla prima udienza, il 12 giugno, tutti si sono dichiarati non colpevoli. I giudici di Belgrado li perseguono soltanto per crimini di guerra contro la popolazione civile, mentre molti politici serbi continuano a minimizzare atrocità come quella di Srebrenica. «La burocrazia e i continui rinvii delle udienze – denunciano le associazioni dei familiari delle vittime – sono la dimostrazione che Belgrado non ha alcuna intenzione di condannare i serbi per i crimini commessi a Srebrenica».