Arabia Saudita. Stop alla pena di morte per i minori, un orrore in meno
Riyadh, capitale dell'Arabia Saudita
Abolita la pena di morte per i minorenni in Arabia Saudita. Dopo la sospensione, annunciata venerdì, della fustigazione, cade un altro relitto premoderno del sistema giudiziario wahhabita. Il presidente della Commissione governativa per i diritti umani ha scritto in un tweet che il Paese ha deciso di mettere fine alle esecuzioni di condannati alla pena capitale per crimini commessi sotto i 18 anni attribuendone il merito, come di consuetudine, al sovrano Salman e al suo controverso erede al trono.
D’ora in avanti la condanna sarà convertita in un massimo di 10 anni di carcere in un centro di detenzione minorile. «Il decreto – ha spiegato Awwad al-Awwad – ci aiuta a mettere a punto un codice penale più moderno e dimostra l’impegno del Regno a continuare con le riforme chiave in tutti i settori del nostro Paese come parte del (programma di riforme, ndr) Vision 2030, direttamente supervisionato dal principe ereditario Mohammed bin Salman».
L’abolizione della pena di morte fa parte del programma di modernizzazione, anche dell’immagine, di un Paese che detie- ne la maglia nera in fatto di diritti umani. La scorsa settimana, Amnesty International ha riferito che l’Arabia Saudita ha messo a morte 184 persone nel 2019. Un record per il Regno, che lo catapulta al terzo posto dopo i più popolosi Cina e Iran. La maggior parte dei condannati, per metà lavoratori stranieri, avevano commesso reati legati alla droga o omicidi. L’Ong sollecita periodicamente le autorità saudite a non punire con la condanna a morte dei minorenni arrestati nella regione orientale nel 2012 durante una manifestazione contro la discriminazione degli sciiti.
Amnesty International è riuscita a ottenere conferma che la pubblica accusa ha chiesto la condanna a morte di Murtaja Qureiris, arrestato a 13 anni, per una serie di reati, alcuni dei quali commessi quando il ragazzo aveva appena 10 anni: partecipazione a manifestazioni contro il governo, presenza ai funerali del fratello Ali ucciso nel 2011, adesione a un’organizzazione terroristica, lancio di bombe molotov contro una stazione di polizia e uso delle armi da fuoco contro le forze di sicurezza. Qureiris, che ora ha 19 anni, è stato arrestato nel settembre 2014 e portato nel carcere minorile di al-Damman.
Per un mese è stato tenuto in isolamento, picchiato e sottoposto a intimidazioni durante gli interrogatori. Nel braccio della morte anche Ali al-Nimr, oggi venticinquenne, che aveva 17 anni al momento del suo arresto. Nel settembre 2015 la Corte Suprema saudita ha confermato la sentenza che lo condannava alla decapitazione e alla crocifissione, suscitando una forte indignazione nel mondo. Anche lui si è visto affrontare un lungo elenco di accuse solo perché, affermano gli avvocati, è nipote di un noto oppositore sciita.