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Medio Oriente. A Rafah, ormai senza vie di fuga. Il giallo della tendopoli fantasma

Nello Scavo martedì 13 febbraio 2024

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Mentre raccoglieva l’applauso della folla, il ministro israeliano per la Sicurezza Ben-Gvir con il consueto tono messianico mostrava il suo piano per Gaza: colonie israeliane vista mare, tanto verde intorno, e soprattutto residenti palestinesi fuori dai piedi. Un’ipotesi che dovrebbe vedersela anche con il rischio di finire a processo davanti alla Corte penale internazionale. Dall’Aja fonti vicine al procuratore capo capo Karim Khan, ieri hanno confermato che l’ufficio investigativo «è profondamente preoccupato per i bombardamenti e la potenziale incursione via terra delle forze armate israeliane». Di certo non c’è in ballo solo la sorte dei 2 milioni di civili palestinesi ammassati in gran parte nel Sud della Striscia, ma la stabilità dell’intero quadrante.

La giornata non ha fatto mancare un altro episodio controverso. Israele insiste nel voler proporre il trasferimento dei profughi in un’area ristretta di Rafah, di cui garantisce l’esclusione dal conflitto. E per farlo ha mostrato dal profilo “X” ufficiale del governo (ex Twitter) una foto che mostra i lavori in corso per attrezzare i campi profughi, spiegando che vengono inviate in loco 23mila tonnellate di tende e 140mila tonnellate di cibo. L’immagine dei lavori in corso è però un falso. Si tratta infatti della messa in opera, nel 2022, del campo per i profughi ucraini a Palanca, in Moldavia.



Nella tarda serata di ieri il tweet dal profilo ufficiale di Israele è stato rimosso, come ha segnalato Shayan Sardarizadeh, il giornalista di BBC Verify che aveva esaminato le immagini e confermato che si trattava di una foto fake. Anche la notizia allegata alla foto, con l'elenco degli aiuti umanitari spediti da Israele a Gaza è stata rimossa.
Le dichiarazione incendiarie di Ben-Gvir si scontrano con la posizione ufficiale del governo, ribadita dal premier Netanyahu, secondo cui Israele non intende ripristinare una presenza permanente a Gaza . Il Cairo, che in questi mesi ha mediato con il Qatar per il rilascio degli ostaggi israeliani, ha schierato le truppe corazzate di terra lungo il confine con Gaza. L’accordo di pace tra Egitto e Israele, siglato da nemici giurati nel 1978, è sopravvissuto a decenni di guerre e rivoluzioni, ma ora l’Egitto non esclude di sospenderlo a causa dell’offensiva di Israele a Gaza.

Da quanto trapela da fonti egiziane, le autorità hanno minacciato archiviare l’intesa se Israele occuperà il “Corridoio di Filadelfia”, la stretta striscia di terra che corre lungo il confine di Gaza con l’Egitto. Ma secondo altre fonti diplomatiche del Paese delle Piramidi, Il Cairo ha fatto intendere che potrebbe stracciare il trattato anche solo se Israele spingesse oltre l’attuale misura l’offensiva su Rafah, perché sul “corridoio” si ammasserebbero centinaia di migliaia di migliaia di profughi che a quel punto potrebbero tentare il tutto per tutto pur di sfondare il posto doganale egiziano e mettersi al riparo dagli scontri. La relatrice speciale Onu per i Territori Occupati, l’italiana Francesca Albanese, ha ricevuto ancora una volta il divieto di ingresso in Israele. Più volte accusata di “antisemitismo”, la giurista ha ricordato che lo stop arrivato da Gerusalemme «non è una novità. Israele ha negato l’ingresso a tutti i Relatori Speciali dal 2008».

Se Gaza prima della guerra era considerato il territorio con la maggiore densità di popolazione al mondo, immaginare di ammassare quasi 1,5 milioni di persone un’area grande come qualche decina di campi da calcio è considerato, di per sé, come impraticabile. «Non c’è più nessun posto in cui fuggire», ha affermato Angelita Caredda, direttrice per il Medio Oriente del Consiglio Norvegese per i rifugiati. Funzionari delle Nazioni Unite hanno affermato che Rafah è ormai diventata una «pentola a pressione della disperazione». Philippe Lazzarini, coordinatore dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i profughi palestinesi (Unrwa) si è rivolto direttamente al governo: «Chiedo che le autorità israeliane cooperino con l’indagine per fornire le prove alle accuse», ha detto in riferimento alle infiltrazioni di Hamas nell’agenzia.

Le tensioni diplomatiche tornano però nuovamente sull’Aja. Se il Tribunale internazionale di giustizia deve esaminare la denuncia per genocidio mossa dal Sudafrica, intanto si muove la Corte penale internazionale. Nelle settimane scorse il procuratore Karim Khan era stato chiaro. Sebbene Israele non rientri tra i Paesi sottoscrittori, «la Corte penale internazionale – aveva spiegato – ha giurisdizione su potenziali crimini di guerra commessi da militanti di Hamas in Israele e da israeliani nella Striscia di Gaza».