Ucraina. A Kherson la scuola delle catacombe. Putin minaccia: missili contro la Nato
La scuola sotterranea di Kherson
Ancora uno sciame di droni lanciati dalla Russia. La guerra in Ucraina continua secondo il suo terribile copione. Fonti di Kiev fanno sapere che un totale di 27 droni Shahed è stato scagliato contro il territorio ucraino, 22 sarebbero stati abbattuti dalle difese aeree ucraine. Attacchi che seguono quelli del giorno precedente. Secondo Andriy Kovaliov, portavoce dello stato maggiore ucraino, nel giro di 24 ore, Mosca avrebbe attaccato ben 2.200 volte posizioni, città e villaggi ucraini. «Gli occupanti russi hanno lanciato tre attacchi missilistici contro le posizioni delle truppe ucraine e le aree popolate utilizzando 8 missili, 62 attacchi aerei, tra cui 56 bombe aeree guidate, hanno effettuato 2.200 attacchi, di cui 128 con l’uso di sistemi missilistici», ha affermato Kovaliov, aggiungendo che l’esercito del Cremlino avrebbe perso in un giorno 1.290 soldati.
Il sistema energetico del Paese è sempre più nel mirino degli attacchi russi. Le interruzioni di corrente nel Paese sono sempre più frequenti e possono durare più di 4 ore di seguito. grado di produrre la quantità di elettricità necessaria.
Ieri infine il comandante delle forze armate ucraine Oleksandr Syrsky ha visitato le truppe impegnate sul fronte orientale. «Le forze russe stanno concentrando i loro sforzi principali sulle direzioni di Kurakhove, Pokrovsk, Kupiansk e Kharkiv». Da Mosca il presidente russo Vladimir Putin ha ribadito che la consegna di armi occidentali all'Ucraina è un «passo molto pericoloso». E ha ventilato un’ipotesi inquietante: il governo russo potrebbe fornire a sua volta le stesse armi «nelle regioni del mondo da dove verranno sferrati attacchi sensibili a siti di quei Paesi che forniscono armi all’Ucraina», vale a dire della Nato.
I bambini di Kherson non hanno dubbi su chi siano i buoni e chi i cattivi. Ma nonostante la guerra che continua a togliere il sonno al ritmo di dieci colpi all’ora intorno alle loro case, non è alle armi che pensano per farsi giustizia. Parlano di eroi senza fucili. E disegnano cieli limpidi come non ne vedono da oltre due anni.
Nel “Centro per minori fragili” di Stepanivka, nel distretto di Kherson, gli operai ingaggiati da Volodymyr Sahaidak accelerano i tempi della ristrutturazione. I bambini che di giorno passano le ore nella scuola catacombale, un po’ alla volta riprendono coraggio. Di tanto in tanto tornano ai piani superiori, dove non ci sono più le vetrate che sembravano il mirino del tiro a segno.
«I sintomi più diffusi del loro malessere sono balbuzie, agorafobia, disturbi del sonno e dell’apprendimento». Sahaidak è l’uomo che i russi volevano morto, perché la sua testimonianza è negli atti delle indagini internazionali contro Vladimir Putin.
Da qui le forze speciali di Mosca avevano tentato di portare via nel 2022 oltre cinquanta bambini, tra orfani e minori affidati temporaneamente dal tribunale dei minorenni. Altri quindici vennero prelevati nella vicina Mykolaiv vennero temporaneamente rinchiusi in un’ala separata, impossibili da raggiungere, e poi portati via in Crimea e in Russia. Anche loro, in un modo o nell’altro, sono stati rintracciati e riportati tra le braccia di volti familiari. Volodymyr ammette di non poter dire tutto. Ha raccontato ai magistrati e fatto sapere come è stato possibile rintracciare i bambini e portarli indietro, ma ai giornalisti preferisce omettere alcuni dettagli. Del resto Kiev denuncia la sparizione di quasi 20mila bambini e la gran parte proprio dai territori occupati, come era stata Kherson prima della liberazione nel settembre 2022. «Liberati ma non liberi», precisa Volodymyr. Perché i russi sono al di la del fiume.
I razzi Grad qualche volta precipitano ed esplodono non lontano dalla struttura di assistenza sociale. «Abbiamo deciso di tornare ad aprire solo durante le ore del giorno – spiega il direttore mentre ci mostra l’avanzamento dei lavori –. Ma la cosa più difficile è fare in modo che i bambini non abbiano paura di stare nei luoghi all’aperto».
A Kherson anche i rifugi sono un lusso. I bunker pubblici sono pochi, un paio in centro città, uno aperto di recente. Del resto chi avrebbe mai immaginato che i quartieri con vista sulle anse e i canali del Dnepr avessero bisogno di sotterranei più che di balconi. E non bastassero i colpi di mortaio, i droni e i cecchini, l’anno scorso ci si è messa pure l’inondazione provocata dalla distruzione della diga di Kakovka. Nessuno aveva mai visto niente del genere. E nessuno avrebbe presagito che di colpo, nell’immaginazione dei più piccoli, gli eroi non fossero per forza i combattenti, ma gli eroici soccorritori che per settimane hanno sfidato il mare di fango e i tiri degli artiglieri per salvare i civili intrappolati nella melma. Andrii, nove anni, ha perso il padre prima della guerra. Ha un sogno: «Diventare un soccorritore con il Servizio di emergenza Statale». Lo chiamano tutti Ses e quando poteva, Andrii sbirciava dalla finestra. «Li guardavo uscire con barche e zattere per salvare le persone. Hanno soccorso bambini, uomini, donne, animali. Erano molto coraggiosi, non avevano paura dell’acqua», dice mentre si figura con la divisa da pompiere.
Come decine di bambini a Kherson, Andrii studia online. Si impegna molto per ottenere buoni voti soprattutto in inglese, matematica ed educazione fisica. Dice che gli servirà per quando entrerà nel Servizio nazionale di emergenza. Nonostante la guerra intorno, Andrii non pensa di voler imbracciare le armi. «Senza il Ses – dice guardando al camioncino giocattolo dei vigili del fuoco – le cose sarebbero state davvero brutte. Loro ripuliscono le macerie, spengono gli incendi, salvano persone e animali».
L’Unicef lo ha preso a modello, per incentivare familiari ed educatori. Quando un giorno la guerra finirà, migliaia di piccoli dovranno misurarsi con le ripercussioni psicologiche per il resto della vita. «Non può essere normale che un bambino preferisca un luogo chiuso, senza finestre, sottoterra e perfino il buio, ma è quello che succede se continuano a piovere esplosioni», spiega Volodymyr Sahaidak mentre ringrazia i donatori, anche gli italiani delle parrocchie milanesi di Rho con cui la struttura è gemellata da anni.
Kherson è anche la città che affaccia sulla Crimea. Da qui insegnanti, educatori, volontari, provano a raccogliere briciole di notizie dalla Penisola annessa nel 2014 e dai territori della regione ancora occupati. Stanno tracciando un elenco di nomi di bambini che mancano all’appello. Non quelli di Sahaidak, che è insieme ai suoi collaboratori è riuscito a proteggere tutti quelli affidati alle sue cure. Ma decine di altri che la direttrice dell’altro centro per ragazzi in condizioni di disagio invece consegnò ai russi, trasferendosi anche lei a vivere in Crimea, ma che ora è formalmente ricercata dalle autorità ucraine per essere saltata dall’altra parte della barricata.
A conflitto finito quella educativa sarà un’emergenza in più. Gli amministratori locali sanno che dovranno fronteggiare il disagio dei veterani, le famiglie divise dall’occupazione e quelle che si sono spaccate chi restando fedele a Kiev e chi scegliendo di abbracciare Mosca. Ma le ferite più difficili da suturare saranno quelle che non si vedono. Anche a questo servono i colori. La scuola sotterranea di Kherson è stata arredata come se avesse le finestre ed entrasse la luce che illumina i giocattoli, le casse piene di matite con cui i bambini disegnano le loro paure dando volto alla guerra, ma vengono stimolati a immaginare il mondo di fuori, quello che hanno conosciuto per poco prima che i capricci dei grandi trasformassero la città dei prati sul fiume in una trappola esplosiva. E dove nonostante la violenza e la paura, ci sono ancora adulti e bambini che sognano al plurale. Come Volodymyr, che non vede l’ora «di vedere il nostro centro pieno di quei ragazzi meno fortunati che possiamo aiutare a far crescere, come abbiamo sempre fatto, e perciò la nostra struttura è già più bella di prima». E come Andrii che pensa ai suoi supereroi: «È un lavoro duro, molto difficile, quello dei Ses. Ma farò del mio meglio per diventare come loro».