Intervista. Il vescovo emerito di Gerusalemme: nella Gaza distrutta un'isola di umanità
«A Gaza non c’è più niente, fatichiamo anche a riconoscere le strade, tra le macerie. C’è solo un’“isola” in cui ancora la vita continua ed è attorno alla nostra chiesa della Sacra Famiglia. Lì grazie a Dio la canonica, la scuola, la casa delle suore sono ancora in piedi, così intorno a noi si sono raccolte seicento persone che vivono unite, come in un convento: un “convento” di seicento laici, cristiani e musulmani insieme. È una fiammella di pace in un inferno di distruzione, ma è importante, se succede lì vuol dire che ricominciare è possibile».
Giacinto Marcuzzo, 79 anni, veneto, è vescovo ausiliare emerito del Patriarcato di Gerusalemme, nonché delegato del patriarca, il cardinale Pier Battista Pizzaballa. In Terra Santa Marcuzzo è arrivato a 15 anni, «quando, ispirato dall’ardore missionario dei nostri superiori della diocesi di Vittorio Veneto, sono entrato nel seminario di Gerusalemme. Poi nella stessa diocesi sono diventato via via sacerdote, vicario, parroco, rettore del seminario, vescovo e adesso vescovo emerito. Dopo 64 anni vissuti in Terra Santa mi sento multiculturale, sono pienamente italiano ma ho adottato anche la splendida cultura araba e israeliana, parlo correntemente le tre lingue e sono professore di letteratura araba». A Jesolo è venuto a inaugurare Sand Nativity, i monumentali presepi di sabbia: «Sabbia che ben rappresenta la vulnerabilità dell’uomo – medita –, presto questi presepi non esisteranno più, eppure la coesione di milioni di granelli produce sculture meravigliose. Così gli uomini: se c’è coesione si può compiere il miracolo della pace».
Qual è la situazione a Gaza e quale in Israele?
A Gaza la popolazione non sa come vivere, sono tutti sfollati, rifugiati sotto i ponti, per le strade, ovunque ci sia un riparo, ma non hanno assolutamente nulla, si muore per i missili ma anche di fame e malattie. Israele a nord è sotto il tiro di Hezbollah, a sud di Hamas, ma il centro – Gerusalemme e anche Tel Aviv – è incolume grazie allo scudo antimissile che finora ha intercettato tutti i droni. Per questo la popolazione è accorsa nella regione centrale, le nostre case religiose e per pellegrini sono piene di israeliani che hanno lasciato le loro abitazioni e anche loro non ne possono più, vogliono tornare alla normalità. Invece questa assurda ostinazione a continuare la guerra non permette di trovare una reale soluzione e nemmeno di liberare gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
Il Patriarcato di Gerusalemme come aiuta la gente di Gaza?
Il patriarca Pizzaballa ha ottenuto il permesso speciale di portare dentro viveri, medicinali e materiale scolastico (ma non soldi) almeno per la piccola comunità che vive intorno alla chiesa. Ogni quindici giorni possiamo entrare con una decina di camion che trasportano 200 tonnellate di beni, che però devono essere scaricati e ricaricati per tre volte, ad ogni controllo. Quello che avviene a Rafah, all’ingresso della Striscia di Gaza, è commovente: da lì i camion vengono scortati fino alla parrocchia di Gaza, non dalla polizia che non c’è, non dall’esercito che non c’è, ma dalla gente stessa, cristiani e musulmani insieme! A piedi per venti chilometri li scortano perché nessuno rubi e giungano integri alla distribuzione. Nella nostra piccola enclave di dialogo le famiglie ricevono il loro pacco uguale per tutti, che deve durare 15 giorni, sono aiuti che arrivano da tutta Italia, dall’America, dall’Europa, e non sono i miliardari a donare ma le parrocchie, le piccole comunità, le famiglie, i Comuni... è l’obolo della vedova, come si dice, eppure in questi mesi abbiamo raccolto quasi 10 milioni. Il tutto in collaborazione con i Cavalieri di Malta e del Santo Sepolcro. Ma è una goccia nell’oceano, la gente è molto pessimista, non vede spiragli e noi come Chiesa cerchiamo soprattutto di creare unità: tra poco entreremo nel Giubileo della speranza e per noi la speranza è solo che finisca questa assurda guerra, non spegniamo questa fiamma che ancora c’è! Basta guerra, fermatevi, trovate un’altra soluzione, le armi non risolveranno nulla.
La strage invece è quotidiana...
Da 420 giorni muoiono di continuo centinaia di persone, soprattutto bambini, voi alla televisione vedete una minima parte di ciò che accade, noi assistiamo a scene tremende, piccolini di pochi anni che scavano con le mani nelle macerie perché sotto ci sono i genitori. Si parla di 44mila uccisi ma almeno un 10 per cento è ancora là sotto e ci sono 120mila feriti gravi, senza cure. Il problema vero è lo scollamento tra la volontà di pace della popolazione, anche israeliana, e la volontà politica dei governanti, che si ostinano a fare la guerra ad oltranza. La comunità internazionale perché non ferma questo scempio? Dov’è l’Onu? Dov’è l’Europa? In 64 anni qui, ho visto continui focolai di guerra, sotto le ceneri il fuoco non si è mai spento, è come un vulcano che dorme e talvolta erutta, ho visto la prima Intifada, la seconda, la Guerra dei sei giorni, ma quella di oggi è incomparabilmente la più terribile, e la religione in questo conflitto non c’entra nulla: lo scontro è politico, dunque ha bisogno di una soluzione politica.
Che cosa dovrebbe succedere in concreto?
Noi vorremmo credere che sia ancora possibile tornare all’epoca di Rabìn e agli accordi di Oslo, erano anni incredibili, nel 1993/1995 vedevi soldati ebrei e giovani palestinesi ballare insieme, abbiamo veramente vissuto la possibilità di un nuovo Medio Oriente, poi nel ’95 Rabìn è stato ucciso... La speranza c’è, ma avremmo bisogno di uomini politici che sappiano “sorpassare” se stessi e il loro passato per adottare una nuova visione. Anche Rabìn era un militare e aveva combattuto i palestinesi, poi si è reso conto che c’era un’altra soluzione, ovvero la costituzione di una Autorità palestinese con Arafat a capo e il dialogo tra i due popoli. Ma chi non voleva la pace ha messo in un angolo l’Autorità palestinese e ha trattato con Hamas, il Qatar versa 30 milioni al mese per sostenere Hamas e l’Europa li versa al Qatar comprando il suo petrolio e il gas... Ricordiamoci di questi giochi, quando non capiamo perché la pace sembra impossibile. Oggi concretamente vedo un’unica soluzione: due Stati per due popoli.
Molti ebrei condannano Netanyahu per le violenze, ci sono musulmani che condannano Hamas e il terrorismo?
L’Autorità palestinese stessa. La gente da una parte e dall’altra vuole solo tornare a vivere e a lavorare, gli ebrei chiedono a gran voce almeno una tregua per liberare gli ostaggi, ma il governo è ostinato nel continuare la guerra e restare al potere. Questo lo posso capire per Netanyahu, ma perché l’Italia, l’Europa, l’America non gridano basta uccidere, bisogna fermarsi?
In tanta insensatezza, sopravvive qualche luce di umanità?
In Patriarcato, a Gerusalemme, è arrivata una comitiva di guide di pellegrini, erano tutti ebrei. Saputo quello che facevamo per Gaza, hanno immediatamente raccolto i soldi che avevano in tasca, “la prossima volta fate un camion anche da parte nostra per quella gente”, hanno detto. Eppure erano i loro “nemici”. E poi ho nel cuore Yasser, un bambino che avevo battezzato dieci anni fa a Gaza e ora ho rincontrato a Betlemme. Mi ha detto: “Io qui sono al sicuro e non mi manca niente, voglio tornare a Gaza tra i miei amici e condividere quello che stanno soffrendo”. Mi ha dato tanto coraggio: io stesso sono vescovo emerito e potrei tornare a vivere la vecchiaia in Italia sano e salvo, ma voglio stare con loro, soffrire con loro, gioire con loro, tutta la mia vita è stata con i nostri cristiani, musulmani ed ebrei della Terra Santa e così sarà fino alla fine.
(Videointervista di Lucia Bellaspiga, montaggio a cura di Rachele Callegari)