Israele-Hamas. Il cardinale Pizzaballa: no alla violenza, preghiamo per la pace
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«Condanna» della violenza, «grande preoccupazione» per quello che è successo e il «sentore che ci possa essere un ulteriore aggravarsi della situazione». Descrive così il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, i suoi sentimenti dopo l’attacco di Hamas a Israele. In Italia per partecipare al Sinodo, il neoporporato (oggi a Bergamo, sua diocesi di origine) non nasconde il proprio dolore.
Che cosa le fa pensare che possa esserci un’escalation?
Innanzitutto l’estensione dell’attacco. E il fatto che ci siano molti israeliani rapiti, civili anche. Sono elementi decisamente nuovi, tenendo presente anche il contesto di grande sfiducia che c’è. Spero naturalmente di sbagliarmi, ma temo che la situazione si aggraverà ulteriormente. Ci sarà ritorsione contro ritorsione.
Infatti anche le autorità israeliane, Netanyahu in testa, hanno parlato di atto di guerra e non di “semplice" attacco terroristico.
Un’ulteriore conferma, purtroppo, della mia sensazione.
Ma è stato un fulmine a ciel sereno o c’erano segni premonitori?
I territori sono sempre stati un vulcano pronto a esplodere. Penso comunque che almeno da parte di Israele questa situazione nelle sue modalità sia stata una sorpresa.
Che cosa si può fare adesso? È da salutare come un fatto positivo che a eccezione dell’Iran, la comunità internazionale abbia condannato unanimemente l’attacco?
Certamente. Prima di tutto bisogna fermare la violenza e poi fare pressioni diplomatiche per evitare che il gioco delle ritorsioni diventi un ciclo vizioso dal quale è difficile uscire. Quindi cercare di riportare un minimo di ragionevolezza tra le parti. Anche se in questo momento sembra difficile.
Ha avuto modo di sentire il Papa?
Mi sono consultato con la Santa Sede. Il Papa è comunque informato della situazione.
È prevedibile un suo appello all’Angelus?
Naturalmente non posso rispondere per il Papa, ma spero di sì. La sua voce è importante.
Com’è la situazione dei fedeli cristiani?
La stessa di tutti. La guerra non guarda in faccia a nessuno. Certamente i cristiani sono una comunità già molto provata e questa situazione senz’altro non aiuta.
A volte si ha sensazione che la maggioranza della popolazione, sia israeliana, sia palestinese voglia fortemente la pace, ma sia quasi tenuta in ostaggio dai gruppi che soffiano sul fuoco della guerra.
Si, la popolazione è stanca di tutto questo, ma è ancora vero che c’è molta sfiducia reciproca. Non basta non volere la guerra. Bisogna impegnarsi in prospettive diverse, se non altro per favorire relazioni di buon vicinato. Anche se questo lo vedo difficile da entrambe le parti.
Qual è l’appello che si sente di rivolgere in questo momento, anche affinché il conflitto non si estenda ad esempio dalla parte del Libano?
Che tutti i leader religiosi si adoperino per calmare la situazione e spegnere gli animi. Che nessuno insomma getti benzina sul fuoco. E auspico la preghiera per la pace. E già oggi faremo in tutte le nostre chiese un’iniziativa in tal senso.