La ricerca. Giovani, profeti di una Chiesa che sa ascoltare e accogliere tutti
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Una Chiesa che «sa riconoscere la voce di Dio nei giovani», che è capace di «riflettere, convertirsi, riformarsi, e di offrire una proposta di fede universale e gratuita, perché a tutti sia data la possibilità di una vita buona secondo il Vangelo», scandisce il vescovo di Ascoli Piceno Gianpiero Palmieri, vicepresidente della Cei. Una Chiesa «libera, accogliente, povera», che sappia vivere e testimoniare «un Vangelo che libera la vita, che genera legami buoni», e che sappia colmare la distanza che abbiamo creato tra fede e vita, sottolinea Lucia Vantini, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane. Una Chiesa «capace di ascolto attento, coinvolto, empatico, che ci permette di generare un autentico dialogo intergenerazionale» e che, grazie alla pastorale giovanile, porta la voce dei giovani dentro la Chiesa perché, «con la loro voce, la Chiesa possa rinnovarsi» e rimanere fedele alla sua vocazione, incalza don Riccardo Pincerato, responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei. Ecco la Chiesa di cui c’è bisogno in questo tempo in cui sempre più giovani si allontanano dalla Chiesa stessa e dalla fede cristiana nelle sue forme tradizionali. Ecco la Chiesa di cui si è parlato venerdì 5 aprile a Milano, all’Università Cattolica, dov’è stata presentata l’indagine raccolta nel volume curato da Rita Bichi e Paola Bignardi “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” e promosso dall’Istituto Toniolo.
I numeri sono impietosi. Nel 2013 i giovani italiani che si dichiaravano cattolici erano il 56,2%. Nel 2023 il 32,7%. Quelli che si dichiarano atei sono passati dal 15% al 31%. Ancora più seria la situazione delle giovani donne, con la percentuale di quante si dichiarano cattoliche che è passata dal 62% al 33%. Ma i numeri, ha aggiunto Bignardi, non dicono tutto. A partire dai motivi e dalle dinamiche dell’abbandono. Ecco, dunque, una ricerca che attraverso interviste e focus group si è messa in ascolto dei giovani. Com’è nuovamente accaduto ieri, con gli interventi di Eugenia Amberti e Emanuele Zay, due dei giovani intervistati dai ricercatori. Quanto l’ascolto e il dialogo siano via decisiva e feconda lo aveva sottolineato il vescovo Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica e dell’Azione Cattolica, ricordando come il Sinodo sui giovani – con la sua capacità di coinvolgere, nel suo percorso, ragazzi di tutto il mondo – sia stato un punto di svolta e abbia offerto un paradigma nuovo alla Chiesa universale, impegnata nel Sinodo sulla sinodalità, e al Cammino sinodale delle Chiese in Italia.
Ebbene: i giovani abbandonano la Chiesa, ma non una loro fede. E quello che vogliono – come emerge dalle interviste, nella sintesi offerta da Bignardi – è una fede spirituale che incontra Dio nella propria interiorità, e un Dio vicino, che stia in relazione con loro, e una fede amica della vita e della sua domanda di pienezza. Desiderano una Chiesa in dialogo con tutti, aperta, contemporanea; una comunità cristiana calda, fraterna, che non giudica; celebrazioni belle, coinvolgenti, vive, capaci di emozionare, e linguaggi comprensibili, vicini alla vita.
«Nei giovani sembra essere in atto una metamorfosi del credere che è collegata alle trasformazioni del modo di vivere l’umano – ha affermato Bignardi –. Da un modo di credere basato su un’appartenenza a un credere che ha radice nella coscienza e ha motivazioni personali. Una fede fortemente caratterizzata sul piano individuale, solitaria, senza comunità». Ecco: questo scenario lancia provocazioni «che mettono in gioco non solo la pastorale giovanile, ma l’intera pastorale, la cultura, lo stile di vita della Chiesa», ha concluso Bignardi. Una Chiesa i cui adulti sanno «rendere ragione della fede» ma anche «della nostra vita, delle nostre scelte, di come la fede interpella la vita dell’adulto, la plasma, la orienta», ha aggiunto don Pincerato, che riprendendo Paolo VI ha detto come questo sia tempo di maestri che trovano ascolto perché testimoni: «testimoni dell’esperienza di Dio».
«I giovani sono come profeti che spingono la Chiesa a essere più evangelica», ha affermato infine l’arcivescovo Palmieri. La sfida è quella di una «pastorale di accompagnamento», per aiutare i giovani a riscoprire la bellezza del “noi” della comunità cristiana – di cui a volte hanno nostalgia, come emerge dalla ricerca – e a scoprire «la loro dignità e originalità di figli liberi e amati da Dio».
Addio all'istituzione, non alla fede. Sete di spiritualità che cerca vie nuove
L’allontanarsi dei giovani dalla Chiesa e, quasi sempre, anche dalla fede cristiana nelle sue forme tradizionali, è un fenomeno in crescita sempre più rapida. E che si osserva in particolare – nel segno di un aumento esponenziale – fra le giovani donne. Ma tutto questo non significa necessariamente distacco dalla fede o da un cammino di ricerca spirituale: i giovani che hanno preso le distanze dalla Chiesa istituzionale e dal credo religioso sembrano confermare quanto scrive il teologo Tomáš Halík, e cioè che «la sfida principale per il cristianesimo ecclesiale di oggi è il cambiamento di rotta dalla religione alla spiritualità». I giovani che, pure, hanno conosciuto e frequentato la Chiesa almeno nei percorsi dell’iniziazione cristiana e poi hanno preso altre strade, non hanno chiuso le porte per sempre. E dicono di sognare una Chiesa aperta, vicina, giovane, non autoreferenziale, capace di ascoltare, accogliere e affiancare la loro sete di spiritualità. E la loro vita, integralmente.
È un ritratto problematico, affascinante, incandescente della realtà dei giovani – ma anche un appello alla “conversione” della Chiesa, che proprio nei dialogo con i giovani, anche quelli che si sono allontanati, trova l’apertura a vie promettenti da percorrere – l’indagine raccolta nel volume a cura di Rita Bichi e Paola Bignardi “Cerco, dunque credo? I giovani e una nuova spiritualità” (Vita e Pensiero, 2024). La ricerca giunge a quasi dieci anni dall’indagine che aveva portato alla pubblicazione di “Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia” (Vita e Pensiero, 2015) anch’esso curato da Bichi e Bignardi. “Cerco, dunque credo?”, presentato venerdì 5 aprile a Milano in Università Cattolica è promosso dall’Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con il Centro Studi di Spiritualità della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, la Facoltà Teologica del Triveneto, l’Istituto superiore di Scienze religiose “Alberto Marvelli” delle diocesi di Rimini e di San Marino-Montefeltro e la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione “San Tommaso d’Aquino” di Napoli.
Due i sotto-campioni dell’indagine. Il primo era composto da cento giovani di tutta Italia fra i 18 e i 29 anni che si sono allontanati dalla Chiesa e dalla religione cattolica. A loro era stato chiesto, tramite colloqui individuali, di raccontare la propria storia religiosa, l’idea di spiritualità, il pensiero sulla Chiesa e la fede, e il perché di questo allontanamento. Il secondo sottocampione – indagato con la tecnica del focus group – era formato da 91 giovani rimasti “vicini” alla Chiesa. Fra gli elementi più interessanti, il fatto che i primi e i secondi non siano tanto diversi fra loro, nelle domande e nelle critiche verso la Chiesa – che si vorrebbe meno giudicante e più accogliente verso tutti, ad esempio i credenti Lgbt+ – come nella loro rappresentazione di Dio.