Giovani

L'iniziativa Cei. Il grido dei giovani: accoglienza e pace nel Mediterraneo

Giacomo Gambassi, inviato a Palermo mercoledì 27 novembre 2024

Il Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Palermo

«Vorrei andare all’università senza preoccuparmi di finire in mezzo a una pioggia di missili O senza dover correre nel bunker antiaereo. Vorrei poter visitare i Paesi del Medio Oriente senza ostacoli e senza pericoli. Vorrei poter vivere in serenità e nella gioia». Théa Ajami riprende fiato. «Nonostante tutto questo non sia ancora possibile, non mi arrendo. E continuo a credere nella pace». Théa viene dal Libano e compirà 21 anni il 29 dicembre. Racconta i suoi «sogni», come li definisce. I sogni di una studentessa che vive in un Paese in guerra. Porta le sue speranze e la sua sofferenza a Palermo dove si è riunito il Consiglio dei giovani del Mediterraneo. È il laboratorio della fraternità e del dialogo che abbraccia le sponde del grande mare e che raccoglie quaranta ragazzi cattolici in rappresentanza delle Chiese legate al bacino. Una consulta tutta under 35, voluta dalla Conferenza episcopale italiana, che unisce tre continenti, Europa, Asia e Africa, da cui provengono i delegati. Al centro dell’incontro in Sicilia la sfida dell’accoglienza che si intreccia con l’orrore dei conflitti, una delle cause che provocano le ondate di profughi.

Il Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Palermo - Gambassi

Come evidenzia il tema delle tre giornate a Palermo: “Non c’è pace senza accoglienza”. E come sa bene il Libano, esempio di coesistenza che vede cristiani e musulmani essere fianco a fianco e governare le istituzioni insieme. «Siamo quattro milioni di abitanti. E abbiamo accolto 800mila palestinesi e 1,6 milioni di siriani fuggiti dalla guerra. Adesso abbiamo 800mila sfollati interni per i raid di Israele - racconta Emile Fakhoury, 25 anni, cattolico di rito maronita -. Aprire le porte può costare fatica, ma dà molto. Ad esempio siamo consapevoli di aver contribuito a salvare la vita a chi si lascia alle spalle le bombe o la persecuzione». Ora l’emergenza è rappresentata dai connazionali del sud del Paese nel mirino di Gerusalemme. «Nonostante le differenze religiose e culturali, tutti hanno trovato un rifugio: anche nelle chiese e nei monasteri che li aiutano con organizzazioni come la Caritas - spiega Roudy Jido, 24 anni, che vive a Beirut -. Questa è vera accoglienza: tendere la mano a chi è nel bisogno, come insegna Gesù, e prendersi cura di coloro che non possono ripagarci».

Il Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Palermo nel quartiere Brancaccio dove è stato ucciso padre Pino Puglisi - Gambassi

La cultura dell’ospitalità è inscritta nella storia del Libano. «Da noi - prosegue Théa - salutiamo chi arriva dicendo: “Ahla w sahla!”. Significa: “Ciao e benvenuto”. La parola “Ahlan” implica che sei tra volti familiari, non estranei. “Sahlan” suggerisce che hai raggiunto un luogo affidabile. In Libano non importa da dove vieni: conta creare un senso di appartenenza, specialmente in tempi di guerra. “Avevo fame e mi avete dato da mangiare”: ogni volta che apriamo le nostre porte, avverto risuonare le parole di Gesù». Un clima che si respira anche in Albania. «Far sentire a casa ciascuno è parte della nostra cultura - dice la 28enne Xhilda Hila -. Anche noi abbiamo accolto chi veniva dal vicino Kosovo in conflitto. La gentilezza verso coloro che sono considerati stranieri è nel nostro Dna. Lo testimonia Madre Teresa che in Albania è nata».

A Monreale la preghiera del Consiglio dei giovani del Mediterraneo - Gambassi

Eppure l’accoglienza fa tremare i polsi. Soprattutto in Europa dove il migrante viene spesso respinto. Vale anche per la Grecia. «Oggi i greci sono affabili verso i turisti e molto meno verso i rifugiati - afferma la 22enne Petrina Voutsinou -. Tutto ciò è dovuto alla paura e all’ignoranza. Invece una società plurale è una società più bella, interessante e umana che può crescere in modo migliore». Sulla stessa lunghezza d’onda Marianna Vitali, 23 anni, anche lei greca. «La nostra nazione è nel suo insieme sospettosa nei confronti di persone che hanno una differente origine, estrazione economica, fede e orientamento sessuale. Questo si riflette sulle scelte politiche che tendono a non proteggere le minoranze, mentre le leggi sull’immigrazione sono dure e disumane. Benché il nostro sia un popolo con grandi tradizioni, c’è ancora molto da fare per essere una società davvero a misura di tutti». Anche la Spagna è investita dal fenomeno migratorio. «Ma Cristo non ha mai detto: “Scusa, non posso aiutarti….”», ricorda Pilar Perez Brown, 26 anni, che rappresenta la penisola iberica nell’organismo. E descrive l’impegno di Camilla che a Barcellona «ha aiutato 350 persone a integrarsi: offrendo alloggi o iniziative di strada». Perché, aggiunge Pilar, «aprirsi all’altro non significa indebolire la propria identità ma farla crescere nel confronto».

Il Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Palermo nel quartiere Brancaccio dove è stato ucciso padre Pino Puglisi - Gambassi

È il messaggio che arriva dal Consiglio dei giovani: una società fraterna è possibile, dove non si alzano muri ma si costruiscono ponti. «“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro”, ci ricorda la Scrittura. A Marsiglia, città multietnica e multireligiosa, la diocesi scommette sul dialogo a 360 gradi», sottolinea la 26enne francese Quiterie Gué. Un appello che vale per l’Italia. «Spesso dimentichiamo l’eterogeneità del nostro popolo», precisa Rita Saccone. È collaboratrice del Centro di accoglienza Padre Nostro a Palermo che, aggiunge, «ha già nel nome la sua missione». L’ha fondato don Pino Puglisi, il sacerdote ucciso nel 1993 dalla mafia e dichiarato beato dalla Chiesa. Proprio sui suoi passi sono arrivati in Sicilia i ragazzi del Mediterraneo: lui che è stato maestro di accoglienza nel quartiere di Brancaccio dove è stato assassinato e dove era parroco. «Come padre Puglisi il Centro abbraccia tutti e non lascia indietro nessuno: soprattutto le persone più vulnerabili come i poveri e chi sbaglia. Perdonare è la chiave per accogliere l’altro con fatti concreti e non solo a parole, per permettergli di cambiare. Perché, come diceva il nostro fondatore, “ognuno può cambiare solo se è amato”».

Il Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Palermo - Gambassi

Lo spiega anche Giuseppe Vicari, in prima linea nel Centro Padre Nostro. «Un esempio positivo è quello dei tanti detenuti in permesso premio che chiedono di venire al Centro dove si sentono a casa. L’ostacolo maggiore che risiede nell’animo umano è il pregiudizio che non permette di andare oltre il proprio naso, non capendo che dall’altro si impara. Lo testimonia Palermo, città variegata, un insieme di colori e culture che si mescolano rendendola straordinaria sin dai tempi antichi».

Il Consiglio dei giovani del Mediterraneo a Palermo - Gambassi

A portare la voce della Toscana è il 31enne Marco Gozzi. «Non dobbiamo partire dalle differenze, ma dal volto dell’altro», fa sapere raccontando la cultura dell’incontro che si sperimenta nel Campo internazionale promosso ogni estate lungo la costa del Tirreno dall’Opera per la gioventù Giorgio La Pira di Firenze. Da Trieste arriva Marta Longo. La sua storia familiare è segnata dall’emigrazione. «I miei nonni sono stati esuli a Trieste, dopo essere stati costretti a lasciare l’Istria. La città è stata capace di prendersi cura di loro. Ecco perché dico che serve rispetto e che Dio ha voluto ogni persona diversa dall’altra, come le sue meravigliose caratteristiche».


Il progetto giovane per il Giubileo che aiuterà rifugiati e poveri. «Una famiglia in ogni comunità»


“Prendersi cura: una famiglia per ogni comunità del Mediterraneo” è la sfida che i ragazzi del bacino lanciano alle Chiese affacciate sul grande mare in occasione dell’Anno Santo. Ed è il nome del progetto giubilare di accoglienza presentato a Palermo dal Consiglio dei giovani del Mediterraneo. «Attraverso le Conferenze episcopali e i Sinodi che i delegati del Consiglio rappresentano, i ragazzi vogliono essere protagonisti di un impegno a favore dei più deboli», spiega Tina Hamalaya, originaria del Libano ma trasferitasi in Italia. Lei anima la segreteria della consulta internazionale permanente formata da quaranta giovani dei Paesi affacciati sul Mediterraneo. Giovani che decidono di «mettersi in cammino con quanti sono nel bisogno per curarne le ferite: siano essi migranti, rifugiati, richiedenti asilo ma anche senza fissa dimora, madri e padri in condizioni di disagio con i loro figli, donne vittime di tratta, giovani in difficoltà. In pratica, tutte quelle situazioni di fragilità che con numeri sempre più preoccupanti caratterizzano le nostre società», aggiunge Tina.

Il Consiglio dei giovani è stato voluto dalla Cei dopo l’incontro dei vescovi e dei sindaci del Mediterraneo che si era tenuto a Firenze nel 2022. E vuole essere un segno concreto di attenzione della Chiesa cattolica verso le nuove generazioni per favorire una convivenza fra i popoli basata sulla fraternità. Sede dell’organismo è il Seminario di Fiesole. I ragazzi che lo compongono rappresentano le Chiese del bacino che li hanno indicati come delegati. Il Consiglio si è insediato nell’estate 2023 a Firenze. Quattro le aree d’azione: l’impegno sociale, la formazione religiosa, l’educazione, lo scambio fra le sponde. La Cei ha affidato l’iniziativa a quattro realtà fiorentine: la Fondazione Giorgio La Pira, l’Opera per la gioventù Giorgio La Pira, il Centro internazionale studenti La Pira e la Fondazione Giovanni Paolo II, onlus per lo sviluppo e la cooperazione nei Paesi più fragili.