Giovani e Vescovi. «I riti della Chiesa non attirano? Chiediamo uno sguardo di amore»
Uno dei momenti della giornata "Giovani e Vescovi", il 6 novembre in Duomo, a Milano
Cosa possono dire i giovani alla Chiesa su tematiche come gli affetti, l'ecologia, l'intercultura, i riti, la vocazione e il lavoro? La domanda è al centro di "Giovani e Vescovi", percorso che sta coinvolgendo in questi mesi tutte le diocesi della lombardia. Al centro c'è il dialogo tra Vescovi e giovani su temi importanti per la loro vita. La prima tappa è stata il 6 novembre, in Duomo, a Milano: quel giorno Vescovi e ragazzi si sono incontrati attorno ad alcuni tavoli tematici e hanno raccolto numerose idee per immaginare strade di crescita e rinnovamento dentro la Chiesa.
Le voci dei giovani sui riti: «Prima di chiederci come portare i giovani a Messa dobbiamo capire come far nascere il desiderio della fede»
I giovani che il 6 novembre si sono seduti ai tavoli tematici dei «Riti» hanno avuto come guida una domanda: «Spesso si accusa la Chiesa di avere riti vecchi e stanchi. Condividi questa visione?». Per rispondere sono partiti da un dato concreto: i coetanei che abitualmente frequentano le liturgie della Chiesa sono una netta minoranza, e anche chi partecipa spesso lo fa per «obbligo o abitudine». Si cerca la motivazione di questo allontanamento: l’analisi cade sui linguaggi, considerati a volte «difficili», come i tempi delle Messe, gli atteggiamenti dei celebranti. Alcuni constatano la mancanza di un’educazione ai significati dei riti: «Le celebrazioni sono molto simboliche, e se i simboli non si svelano il rito rimane vuoto» sottolineano. «Come si può valorizzare la bellezza di un rito che si rinnova ma non si stravolge?» chiedono in tanti.
Poi, da più parti, si fa strada una consapevolezza: «Il rito è un punto di arrivo, non di partenza. Prima di chiederci come portare i giovani a Messa dobbiamo capire come far nascere il desiderio della fede» dicono i presenti. Qualcuno ha una risposta: «Nei riti cristiani, il messaggio è che tutti siamo figli amati da Dio. Se a Messa le persone si sentissero davvero accolte non se ne andrebbero più» dice una giovane. Tanti concordano: «Il rito diventa bellissimo nel momento in cui ci si sente guardati con amore» spiega uno dei partecipanti. «È stato così anche per me – aggiunge –, avevo un carattere ostico ma qualcuno mi ha voluto bene, anche nelle mie pieghe più difficili. E questo mi ha avvicinato alla Chiesa». Dopotutto, proprio la relazione è tra gli elementi essenziali del rito: «Partecipare a una Messa deve aiutare a coltivare tre legami: con me stesso, con Dio, con gli altri» dice un giovane. «Per vivere i riti è fondamentale la comunità» ripetono tanti. È un aspetto che la pandemia ha drammaticamente evidenziato: «Ho vissuto il non poter celebrare i funerali a causa delle restrizioni – racconta un giovane che abita vicino a Codogno, paese che ha registrato il primo focolaio in Italia di Coronavirus –. Forse nel momento in cui si viene privati di un rito è possibile cogliere uno dei suoi significati: l’essere accompagnati, non essere soli».