Pastorale. Giovani, cercatori di Dio
Giovani alla Messa con papa Francesco lo scorso 6 agosto durante la Gmg di Lisbona
E se non fossero così distratti, superficiali e lontani come vengono etichettati da una certa narrazione? Se la Gmg di Lisbona avesse rivelato che ci sono ragazzi capaci di grandi cose se si è disposti ad ascoltarli e a stare con loro? Forse non è un caso che stiano riscuotendo un certo successo quelle iniziative che consentono di interrogarsi su se stessi, sul senso della propria esistenza e sulla fede, siano esse di matrice più spirituale – come i percorsi di approfondimento della Parola, di riscoperta del Credo, i ritiri – o di stampo più esperienziale. Sono numerosi i giovani che iniziano a porsi delle domande, che « vogliono trovare risposte su Dio, sulla Chiesa, sulla fede, che provano a capire e come i cercatori si mettono in viaggio», spiega don Daniele Palumbo, incaricato della pastorale giovanile di Ariano Irpino-Lacedonia e della Campania. «C’è aggiunge - una richiesta forte di punti di riferimento e di paternità, ovvero di adulti che stiano con loro, che li ascoltino e li accompagnino, ai quali affidarsi per parlare, dialogare e con i quali confrontarsi». Se è vero che «dopo il tempo del Covid, come ha ampiamente dimostrato la Gmg, c’è voglia di tornare all’umanità, di riscoprirsi esseri sociali», è altrettanto vero che «ai giovani non servono palliativi, ma proposte che abbiano la chiarezza del messaggio evangelico, fatte con coraggio, alzando l’asticella».
«C’è una sete di spiritualità, forse non sempre esplicitamente cristiana, che è anche una sete di futuro che va a innestarsi nel bisogno di relazioni autentiche e di fraternità. Del resto, una spiritualità senza fraternità non fa strada», osserva don Enrico Turcato, incaricato di Adria-Rovigo, per il quale l’incontro di Lisbona ha messo in luce, da un lato, «il desiderio di un cammino fraterno di fede, di sapere di non essere soli» e dall’altro «ha risvegliato una sete di Chiesa, ovvero la necessità di uscire dal proprio piccolo territorio per sentirsi parte di qualcosa di più grande».
« I giovani - rileva don Turcato cercano l’essenziale e per questo, in occasione della Giornata della gioventù diocesana e poi una domenica al mese a partire da gennaio, offriremo loro la possibilità di pregare, di partecipare alla Messa o alle catechesi, di vivere momenti di silenzio o di fare esperienze di servizio e carità. Ognuno potrà scegliere ciò che vuole, nella consapevolezza che c’è qualcuno che vuole fare casa con lui». « Dopo una parentesi storica segnata dall’individualismo, dal Covid, dalla cessazione di tanti cammini di formazione e catechesi, in quel miscuglio di storie e di incontri che è stata la Gmg è emersa l’urgenza di ascoltarsi e di ascoltare», conferma don Salvatore Glorioso, incaricato della pastorale giovanile di Pisa, sottolineando che «l’ascolto è la fase previa del porsi delle domande». Per questo è fondamentale «avere èquipe formate» (è appena partito un percorso diocesano per accompagnatori vocazionali) e “fare casa”. Come avviene nelle esperienze di vita comune – ad esempio nella canonica di San Michele in Borgo che può accogliere fino a 25 ragazzi per una o due settimane – che favoriscono «un processo di re-identificazione familiare all’interno della Chiesa, accompagnando i ragazzi nell’ordinario e facendo sentire loro l’abbraccio di una famiglia più grande, con l’auspicio che quel periodo in gruppo possa portare a prendere posto nel mondo e nella Chiesa».
In questo tipo di proposte, «non ci si forma imparando qualcosa ma vivendo insieme», gli fa eco don Paolo Vagni, incaricato di Senigallia e delle Marche, che porta l’esempio concreto, ormai ventennale, di “Punto giovane”, un luogo dove una decina di maggiorenni possono fare comunità per un mese con un sacerdote. Da qui, ricorda, «sono nate esperienze simili di una settimana per le classi delle scuole superiori a cui partecipa anche chi è scettico o non fa l’ora di religione». I ragazzi sono chiamati « non a servire, ma a essere serviti, a ricevere, a nutrire il loro cuore. Spesso, dopo essere stati nutriti con la tradizione cristiana, sentono di ridonare mettendosi a servizio loro stessi», racconta don Vagni evidenziando come «in questa relazione, che guarda alla vita nella sua interezza, ci si può aprire all’altro e all’Altro».
« A Dio – precisa – si arriva se si incontra qualcuno». È proprio «in quel rapporto quotidiano di familiarità e fiducia che scoprono una dimensione di Chiesa che non sempre conoscono e quanto essa sia bella», continua don Andrea Carubia, incaricato di Forlì- Betinoro, diocesi in cui si sta investendo per riprendere questo tipo di attività dopo l’alluvione. « I giovani – ribadisce - devono percepire di essere liberi, non vogliono essere convinti o plagiati, ma capire se possono fidarsi, se quella proposta vale prima di tutto per chi gliela fa». Hanno, cioè, bisogno di « persone credibili» che, con sincerità e semplicità, mostrino loro la bellezza di aver incontrato Dio. Per aiutarli a dire «quel primo sì» che apre all’infinito.