Emergenza. Web e minori, quali leggi antiabusi?
L’immagine di Mark Zuckerberg, proprietario di Facebook, Whatsapp e Instagram, che si volta nell’aula del Senato americano per chiedere scusa ai genitori di ragazzi vittime di violenze sessuali rese possibili dall’utilizzo di uno dei suoi servizi online, è di quelle che non si dimenticano. Ed è probabilmente destinata a cambiare per sempre il volto di Internet come lo conosciamo oggi.
Nel corso di un’audizione tesa e a tratti apertamente conflittuale, i capi dei principali social media hanno cercato di difendersi dall’accusa di aver privilegiato il profitto rispetto alla sicurezza dei minori nel gestire le proprie piattaforme. Ma alle domande sempre più incalzanti riguardo al possibile appoggio a leggi più restrittive a garanzia dei bambini le risposte sono state piuttosto vaghe. La proposta è quella di migliorare le funzionalità di tutela e controllo dell’attività online di chi ha meno di 18 anni, continuando sostanzialmente sulla strada dell’autoregolamentazione che rende le aziende di fatto immuni dalla possibilità di essere citate in giudizio da chi ritiene di essere vittima del loro operato.
Ma cosa potrebbe cambiare dopo l’udienza del 31 gennaio a Washington? Due leggi in particolare sono in attesa di approvazione definitiva al Congresso americano: Kosa (Kids Online Safety Act) e Coppa 2 (Children Online Privacy Protection Act). La prima dovrebbe introdurre il principio della responsabilità delle piattaforme, aprendo la strada a possibili sanzioni su quegli operatori che non impediscono efficacemente l’accesso dei minori a contenuti inadatti a loro (ad esempio riguardanti disturbi alimentari, abuso di sostanze e azzardo e istigazione al suicidio). La seconda è un aggiornamento della legislazione Coppa, che risale al 1998, che attualmente regola il trattamento dei dati dei minori e che stabilisce tra l’altro l’età minima di 13 anni per l’accesso ai social media (la proposta è di alzarla a 16).
Ci sono poi altri interventi legislativi più specifici per la prevenzione dello sfruttamento sessuale dei minori, come Stop Csam (Child Sexual Abuse Material), che propone l’uso di sistemi automatizzati per analizzare le immagini in modo da prevenire la diffusione di materiale pedopornografico, e l’Earn it Act, che imporrebbe alle aziende di Internet controlli più rigidi sulla circolazione di materiale pedopornografico online, ritenendole responsabili della pubblicazione di tali contenuti.
L’approvazione di un sistema di regole di questa portata e ambizione (in particolare il Kosa) provocherebbe un cambiamento radicale della struttura e del funzionamento delle piattaforme social perché s’introdurrebbe il principio della responsabilità delle piattaforme riguardo ai contenuti che circolano sui loro servizi. Un’eventualità al momento esclusa dalla legge americana sulle Telecomunicazioni (in particolare dalla sezione 230) che ritiene i servizi online semplici infrastrutture e non editori a pieno titolo. Se fosse approvata una revisione di tale legge le piattaforme dovrebbero mettere in atto strategie efficaci per controllare i contenuti prima o nel momento stesso della loro pubblicazione, e non dopo, come avviene attualmente con le procedure di moderazione: una pratica impossibile per come sono organizzati ora i social, che hanno il loro punto di forza proprio nel dare potenzialmente a tutti la facoltà di esprimersi e trovare un proprio pubblico.
Vent’anni di storia (il 2 febbraio ricorre il compleanno di Facebook) dimostrano però che tale libertà non è stata usata al meglio e il “lato oscuro” di questi servizi in troppi casi ha prevalso. Se vogliamo davvero ripristinare un’efficace tutela dei minori negli ambienti online non ci sarà purtroppo altra soluzione che limitare tale libertà.