Famiglia

Educare. «Tu sarai come io vorrei». Perché questa frase non va mai detta a un figlio

Cecilia Pirrone giovedì 13 marzo 2025
«Tu sarai come io vorrei». Perché questa frase non va mai detta a un figlio

Essere genitore di un figlio adolescente è uno dei più tenaci percorsi di psicoterapia che può capitare nella vita! È un percorso che va in profondità, ti interroga giorno e notte. Chiede di non chiudersi, ma invita al confronto e allo scambio. La fase dello svincolo dalla famiglia, periodo nel quale i ragazzi diventano giovani adulti, che va dai 12 ai 24 anni circa, è il tempo sacro della massima distanza relazionale tra genitori e figli. L’onnipotenza genitoriale è protettiva nei confronti dei bambini che ancora desiderano stare sotto le ali di mamma e papà, ma ben presto, questo grandissimo potere cede il posto a uno sguardo decisamente più reale per cui gli adulti vengono riconosciuti come figure che hanno pregi, ma certamente anche innumerevoli difetti e fatiche. Davvero vale la pena crescere? Il mondo dei grandi è la realizzazione o la tomba dei desideri? Come faccio a dirlo alla mamma o al papà se si spaventano delle mie fragilità? Sono le domande a cui risponde Cecilia Pirrone, psicologa, docente di Psicologia dello Sviluppo presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, nel libro” Aiuto! Ho un figlio adolescente. Sette regole per entrare nel mondo dei ragazzi” (Il pozzo di giacobbe, euro 16) di cui qui pubblichiamo alcuni stralci.

Educare è un’arte, un intervento delicato e complesso che richiede non solo conoscenze tecniche, ma soprattutto attenzione, sensibilità, capacità creativa. Significa aiutare l’altro a sviluppare le sue potenzialità e a diventare indipendente. Vuol dire adoperarsi per far emergere la personalità del giovane rispettando le sue caratteristiche. L’educazione richiede dedizione, pazienza e tempo; più che preoccuparsi per i ragazzi, è necessario occuparsi di loro: ogni comportamento degli adulti è educativo solo se riempito d’amore (…). Quando nasce un bambino, si compie il più grande atto d’amore senza che nessuno garantisca niente: come genitori non sappiamo se sarà alto, basso, biondo o moro, sano o malato… nulla! Gratis. Lo si fa nascere gratuitamente solo per amore, solo per la gioia che ci sia e basta. Con il tempo, questa gratuità si rischia di dimenticarla, sostituita dalla gioia di quello che questi bambini e poi ragazzi potrebbero essere nella nostra testa, sostituita dalle nostre proiezioni, dai nostri desideri. Così, nel tentativo di volergli bene, gli mettiamo addosso tante condizioni, facendo molta fatica a riconoscerli per quello che sono. Siamo chiamati a riconoscere ogni adolescente per quello che è proprio perché è lontano dall’ideale che possiamo avere su di lui. Lo riconosciamo perché non corrisponde a nessuna aspettativa che avevamo su di lui. Lo accogliamo proprio perché diverso da me. Accogliere, dal latino “ad-colligere”, cioè, raccogliere, accettare presso di sé, ammettere nella propria casa, ricevere uno con dimostrazione di affetto.

Non educhiamoli al risentimento

Non si attrezza un giovane alla vita dicendogli: «Tu sarai quello che io non sono stato. Tu sarai come io vorrei che tu fossi. Tu ti riscatterai o mi riscatterai dalle mie mani dure che sono costrette a fare lavori pesanti, o dal fatto che spesso non riusciamo ad arrivare con la busta paga a fine mese». Un giovane che riceve simili input, più o meno espliciti, anche in buona fede, è attrezzato al risentimento, altro che alla gioia e alla speranza! In altre parole, si fa l’idea di ciò che avrebbe dovuto avere o essere, ma non ha o non è. È risentito contro la vita o, meglio, contro il limite della vita. Allora non può prendere quello che essa effettivamente dà, perché egli è altrove.

Non si tratta di accontentarsi o di rassegnarsi. «Prendo quello che c’è» come fosse un invito depressivo: «Ridimensiona le tue attese e vivrai in pace». Si tratta di dire a questi giovani: «Io ti amo per ciò che sei e per ciò che sarai!» Chi, tra i genitori, custodisce nel cuore la leggerezza che ciascun figlio va bene così com’è? Chi è capace di amare senza se e senza ma? Io darei la mia vita per te, adesso, anche se vai male a scuola, anche se sei pigro, anche se non riordini la tua stanza, anche se hai preso una nota… ti voglio bene così come sei! Solo dentro questa certezza un figlio potrà cambiare i tratti che deve cambiare. Ti voglio bene ora, non domani se cambi! Il bene è il bene, non si può chiedere a un ragazzo che se lo meriti. Altrimenti poi quando in adolescenza, si presentano fenomeni quali l’anoressia, l’alcolismo, il bisogno esagerato di mettere a rischio la vita per abbattere il limite, il desiderio di tagliarsi con le lamette del rasoio… «se mi taglio torno con i piedi per terra e riesco a studiare!»

Perché arrivare a questi estremi? Perché farsi del male? Di che cosa si devono punire questi ragazzi? Di non essere mai andati bene a nessuno? Di non essere mai stati perdonati? Non è facile amare qualcuno con questa libertà, ma è un obiettivo in cui bisogna ostinatamente credere. Oggi serve la relazione autorevole non la punizione che priva e, se proprio non si riesce a rinunciare all’idea che serva la sanzione, meglio punizioni aggiuntive, che lavorino sull’idea che non si è fatto quel che si doveva fare e si è dunque chiamati a farne ancora di più. Più scuola al pomeriggio, più aiuto a fare compiti per gli altri, più impegno nelle pulizie domestiche, non eliminazioni di paghette, playstation e amicizie. Al di là di questo, oggi l’adulto autorevole è chiamato a dare senso ai comportamenti adolescenziali, ad aiutare le nuove generazioni a limitare il senso della vergogna, della inadeguatezza, del non sentirsi mai sufficientemente belli, popolari e di successo.

Il compito dei genitori è quello di “dare senso”

Dare senso è un bisogno culturale decisivo in questa epoca in cui nulla conta e niente resta. Questa necessità è centrale altrimenti ci si trova dispersi e disorientati. Adulti autorevoli sono coloro che si sentono fortemente ingaggiati nel loro ruolo educativo a favore dei ragazzi, usano cioè il “loro potere” a vantaggio di chi è educato. Diverso invece l’autoritarismo che altro non è che l’esercizio del potere a vantaggio di chi lo esercita. Per esempio, di fronte alle numerose insistenze del figlio, il genitore autoritario risponde: “No! Basta! Qui comando io!”, cioè per il suo tornaconto gli è meglio chiudere l’argomento. Il genitore autorevole invece comunica: «Io e tua madre ci abbiamo pensato e diciamo di no perché non puoi stare tutto il giorno fuori casa con gli amici». Il ragazzo potrebbe replicare: «Certo che proprio non capite. I miei amici sono sempre fuori in bicicletta e io qui rinchiuso a casa».

«Abbiamo pensato che il tempo con i tuoi amici è certamente molto importante, ma che non può annullare tutto il resto. La scuola, la famiglia… la fiducia la si guadagna poco alla volta e insieme ad essa la libertà di scegliere». “Lasciare che esprima liberamente sé stesso” non significa che può fare quello che vuole. Il genitore è chiamato a esercitare il suo compito educativo attraverso l’esercizio dell’autorevolezza, luogo dove nasce il confronto, così che, a poco a poco, anche il figlio impara a motivare le sue richieste o le sue scelte ai genitori. Motivare per capire dove sta il bene personale e il bene comune che ancora continua a governare il sistema familiare. In questo modo, come immersi in un circolo virtuoso, nasce la voglia di ingaggiarsi sempre di più (…). Ci vuole una capacità speciale per essere genitori di neonati, così come ci vuole un dono speciale per essere genitori di adolescenti. La prima grazia è constatare che non si è più gli stessi, la seconda è capire che il cambiamento coinvolge tutta la famiglia, sia l’adolescente sia i genitori. Tenere il passo con le contraddizioni del ragazzo non è certamente semplice, così come non lo è entrare in sintonia con questo periodo “intermedio” del figlio.

Spesso il genitore corre il pericolo di aggiornarsi poco o di farlo troppo. Può continuare a fare il genitore del “suo bambino” ignaro dei cambiamenti o passare direttamente a fare il genitore dell’adulto. Il primo rischio è facilmente diagnosticabile perché viene denunciato dal figlio che non accetta più di essere trattato da bambino con abbracci e carezze a scena aperta, divieti o regole rigide prive di spiegazioni e negoziazioni. Il secondo errore è meno avvertibile perché lascia nei genitori l’impressione di essersi messi al passo con il figlio per il solo fatto che si astengono dall’interferire nella sua vita e trova l’accondiscendenza di quest’ultimo che non viene chiamato a rendere ragione della validità delle sue affermazioni e dei suoi comportamenti. Aggiornarsi troppo è l’errore dell’adulto. Si tratta l’adolescente come se avesse già raggiunto le capacità dell’adulto, dimenticando quindi di fargli vivere i passaggi intermedi che per l’adolescente sono necessari e senza i quali non arriva alla maturità. Per esempio, è difficile che l’apprendimento scolastico si basi sull’interesse personale del ragazzo; è più facile che l’interesse emerga a personalità completata. Prima, serve anche il sostegno alla motivazione dall’esterno. Incerti nel fissare i necessari limiti, i genitori delegano le loro responsabilità di controllo ai ragazzi stessi. Li lasciano soli, li responsabilizzano troppo presto e in settori in cui non sono in grado né pronti ad assumersi tali responsabilità.

Si pensi all’uso dello smartphone consegnato ai ragazzi sempre più precocemente senza i dovuti controlli o le dovute indicazioni a utilizzarlo. Si pensi di conseguenza all’uso del web, oggi certamente strumento prezioso, ma che richiede necessariamente un accompagnamento. A questa età i genitori hanno ancora una funzione di riparo e svolgono il ruolo di Io e Super-Io ausiliario necessari per l’adolescente (...). L’indifferenza è sempre peggio della legittima preoccupazione, anche se interpretata dall’adolescente come un’interferenza nelle proprie libertà e diritti.

Genitori ideali? No meglio genitori credibili

Un secondo cambiamento nel genitore è il passaggio dall’essere modello ideale a garante. L’adolescente non ha più bisogno di genitori ideali, ma di genitori credibili. I genitori sono credibili non perché pronunciano parole logiche, ma quando usano parole sperimentate in proprio come capaci di garantire una vita significativa perché già comprovate dalla loro esistenza. Il genitore garante non è più la persona perfetta e neanche il regolatore della vita del bambino, quello che interviene quando c’è da decidere e dipanare le diatribe fra impulsi del figlio e richieste della società. Il genitore dell’adolescente diventa un “raccontatore della vita”. Non uno che la regola, ma la racconta, rende ragione al figlio, gli tramanda la memoria delle vere radici a cui rifarsi, gli anticipa i dolori e le gioie dell’esistenza, gli trasmette i valori e si fa testimone con la sua stessa vita di adulto.

Non si tratta più di essere buoni, ma di essere veri. Il genitore si esprime dunque con un nuovo tipo di tenerezza che non si accontenta più, come nell’infanzia, di gesti sensibili, abbracci e carezze, ma si arricchisce di parole sapienziali dette non da un eroe vittorioso ma da un pellegrino che a volte si perde, ma che rimane fiducioso di aver trovato l’orientamento giusto.

È chiaro che questo compito richiede ai genitori la fatica di esplicitare a sé stessi ciò che vale e non vale la pena verbalizzare, per le loro orecchie prima che per quelle del figlio, la serie dei perché che giustificano il fare. È una fatica che si potrebbero risparmiare se non avessero dei figli. Ormai per loro i giochi sono in gran parte fatti e si muovono in un quadro di vita costituito. Sanno che devono lavorare, svegliarsi a un certo orario, controllare le spese… Non hanno bisogno di ridirsi continuamente il perché farlo. Questa esplicitazione è in favore del figlio che ancora non è entrato in un vocabolario maturo dei termini e neanche gli è chiaro il perché adottarlo. Rifare un processo di chiarificazione delle motivazioni di cui loro personalmente non hanno bisogno è un atto di vero altruismo (…).