Analisi. Che pasticcio con il Tribunale della famiglia. E a pagare sono i bambini
Tribunale per la famiglia, tutto rinviato a ottobre 2025. O forse ancora oltre. Sembrerebbe una buona notizia per chi, come i magistrati minorili in maniera compatta e tanti altri addetti ai lavori, si battono da anni per spiegare i tanti aspetti ad altissimo rischio di questa riforma. Invece è una notizia pessima, almeno per due ragioni. La prima è che la decisione presa la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri, lasciando tutto invariato, non fa che dilazionare nel tempo una situazione che, già insostenibile prima, diventerà nei prossimi dodici mesi deflagrante per il sistema giudiziario minorile. E, come sempre, a farne le spese saranno i bambini e i ragazzi più fragili, saranno le loro famiglie scombinate e disgregate, che non potranno di fatto essere tutelate in modo adeguato.
Questo perché la decisione del Governo congela di fatto l’ultimo atto della riforma Cartabia, cioè la nascita dei Tribunali per la famiglia e per la persona e la fine degli attuali Tribunali per i minorenni, ma lascia invariate tutte le altre modifiche introdotte dal 2021 ad oggi previste dalla stessa legge appunto secondo un criterio di passaggi progressivi. Proprio quelli che hanno offerto a magistrati e avvocati la possibilità di comprendere “sul campo” – dopo averlo a lungo teorizzato - come l’introduzione di una riforma così ampia e così complessa a costo zero e senza nessuna previsione di un adeguamento dell’organico non potesse che tradursi, come sta avvenendo, in un disastro annunciato.
Sta capitando infatti che l’applicazione della prima parte della riforma, che prevede un impegno quasi totalizzante dei magistrati e di tutto il personale della giustizia nei procedimenti definiti urgenti abbia di fatto paralizzato tutto il resto, cioè l’ordinaria amministrazione, che rappresenta quasi il 90 per cento dei casi. L'introduzione di un unico rito ordinario ed in particolare delle procedure urgenti, da affrontare con le stringenti scansioni temporali previste dal nuovo articolo 403 (quello che permette di allontanare un minore dalla sua famiglia in caso di gravi e immediati pericoli per la sua incolumità, ndr) e dall'articolo 473 bis. 15 (provvedimenti indifferibili e urgenti), ha di fatto assorbito tutte le forze disponibili. Nessuno contesta l’opportunità di rendere più rapidi procedimenti che riguardano drammi esistenziali così vasti e profondi da non poter essere in alcun modo né sottovalutati né rimandati.
Ma per annullare o rendere quanto più esiguo possibile il rischio della sottovalutazione servono informazioni dettagliate e approfondite sulle dinamiche interne della famiglia coinvolta, sui rapporti tra genitori e figli, sulle scelte educative, compresi possibili errori, maltrattamenti e abusi. E quindi occorre tutto il tempo necessario per raccogliere dati così determinanti.
Ma di fronte a situazioni di assoluta urgenza spesso il tempo non c’è e la riforma impone di fare in fretta: 24 ore per trasmettere al magistrato la notizia dell’allontanamento di un minore dalla famiglia di origine, 72 ore per la conferma o la revoca del provvedimento da parte della procura minorile, altre 48 ore, in caso di conferma, per la nomina del curatore speciale del minore e per fissare l’udienza tra le parti che non potrà avvenire oltre i quindici giorni dal fatto. E, con la stessa celerità, si devono affrontare le procedure successive: comunicazioni, reclami, convalide e, collocazione del minore in comunità di tipo familiare. Decisione da prendere soltanto, impone la riforma, “in ragione dell’accertata esclusione di possibili soluzioni alternative”.
Per affrontare tutto questo in modo oculato e con la rapidità prevista servono risorse professionali tali da assorbire quasi completamente le disponibilità della maggior parte dei tribunali minorili. Una situazione che va a detrimento degli altri procedimenti civili, in specie quelli sulla responsabilità genitoriale caratterizzati da minore urgenza rispetto agli allontanamenti, ma altrettanto importanti. Stabilire se una madre o un padre hanno ancora il diritto di esercitare la responsabilità genitoriale sui propri figli è evidentemente una decisione che non si può improvvisare e che non si può rimandare a tempo indeterminato. Ma per i prossimi dodici mesi non cambierà nulla, non arriveranno altre risorse, non saranno ampliati gli organici e quindi, come spiegano gli stessi magistrati, dall’andamento lento si passerà alla stagnazione.
Ma il peggio capiterà dopo l’ottobre 2025 – se non saranno decise altre dilazioni – quando la maggior parte dei procedimenti passeranno dall’ambito collegiale dei 29 attuali tribunali per i minorenni ai 165 nuovi tribunali per la famiglia con un giudice monocratico presso le sezioni circondariali. Con la fine dei giudici onorari (psicologi, pedagogisti, neuropsichiatri infantili, educatori professionali) si perderà cioè il valore della collegialità e della multidisciplinarità così che decisioni delicatissime, come i procedimenti sulla responsabilità genitoriale e sull’allontanamento dei minori saranno prese da un giudice non specialista, senza un’istruttoria accurata e approfondita, in assoluta solitudine. Non è una bella prospettiva.
Ecco perché i dodici mesi di “riflessione” decisi dal Governo serviranno a poco se non si deciderà di avviare una profonda revisione della materia, rimettendo in discussione soprattutto gli aspetti già apparsi insostenibili. Se questo non sarà fatto con tutte le competenze e le risorse necessarie – e siamo alla seconda ragione per cui la notizia del semplice rinvio va considerata negativamente – avremo perso un’occasione preziosa per costruire davvero quel tribunale della famiglia in cui far convergere tutte le questioni che riguardano coppie, genitori e figli. Idea bellissima e coerente ma che va concretizzata con la logica della valorizzazione dell’esistente non, come è stata pensata dalla riforma Cartabia, con l’azzeramento di quella lunga e consolidata esperienza minorile presa a modello in tutta Europa.