Famiglia

Anniversari. Trent'anni fa l'appello di Giovanni Paolo II: "Famiglie scendete in campo"

Luciano Moia martedì 8 ottobre 2024

Giovanni Paolo II all'Incontro mondiale delle famiglie 1994

“Quanto sono necessari i passi compiuti dalla Chiesa per difendere e promuovere la famiglia fondata sul matrimonio”. Lo affermava l’8 ottobre di trent’anni fa Giovanni Paolo II, accogliendo a Roma le famiglie convocate per il primo Incontro mondiale. Evento pastorale ma, in quell’anno di grandi scontri culturali, soprattutto momento di testimonianza e di identità.

Con quel grande raduno di popolo, pensato sul modello delle Giornate mondiali della gioventù, papa Wojtyla intende ribadire che il modello della famiglia non può essere messo in discussione, che i problemi sociali ed economici non possono essere risolti imponendo metodi estesi di controllo delle nascite, che un figlio rimane sempre e comunque dono da accogliere nell’amore e da educare con impegno e responsabilità. Punti fermi proclamati da sempre, sottolineati con forza in tutti i documenti vaticani sul tema, ma che di fronte all’avanzare del postmodernismo laicista sembrano impallidire e sgretolarsi.

Trent’anni fa, come del resto oggi, la famiglia non gode di buona salute. Separazione e divorzi, denatalità, unioni di fatto, contraccezione, fecondazione assistita sono prassi che vanno allargandosi e consolidandosi, contagiando anche i modelli di vita di tante famiglie credenti. Ma la decisione dell’Onu di proclamare il 1994 Anno internazionale della famiglia e l’approssimarsi della Conferenza del Cairo su “popolazione e sviluppo” che fin dalle prime battute, con una serie di bozze favorevoli alle istanze di autodeterminazione della donna in termini di controllo delle nascite e di marginalizzazione del ruolo del matrimonio, inducono Giovanni Paolo II a fare tutto il possibile per contrastare questa deriva.

L’Anno internazionale Onu viene affiancato, pur con qualche cautela per non creare contrapposizioni, da una serie di eventi che hanno l’obiettivo di rispondere alle tendenze culturali in atto spostando l’attenzione sui valori fondanti del matrimonio e della famiglia. Questo l’intento, per esempio della Lettera alle famiglie in cui il Papa ripercorre quanto già detto in Familiaris consortio nel 1981, ma in modo più caldo, più diretto e, soprattutto, auspicando che la grande preghiera sollecitata in quella circostanza «raggiunga anche le famiglie in difficoltà o in pericolo, quelle sfiduciate o divise e quelle che si trovano in situazioni irregolari».

Ci sono situazioni di crisi, ammette Giovanni Paolo II, ricordando fallimenti, sofferenze affettive, familiari, sociali. E ammettendo che il matrimonio possa diventare talvolta luogo di mancanza affettiva, d’incomunicabilità e di egoismo – ricorda tra gli altri il problema della denatalità e delle violenze domestiche - si appella alle coppie cristiane per superare queste difficoltà e per contribuire alla costruzione di una nuova civiltà dell’amore dentro e fuori le pareti domestiche. La Lettera si sviluppa poi approfondendo due grandi capitoli, quello dell’amore che ha la sua radice in Dio e prende forma nel matrimonio tra un uomo e una donna, alimentando e qualificando il loro essere sposi, genitori, educatori. E quello che prende spunto dall’immagine biblica di Gesù sposo della Chiesa per affrontare il discorso della maternità e della paternità, in chiave umana e sociale.

Il Papa parla alle famiglie cristiane con la speranza che quelle sottolineature non lascino indifferenti anche chi sta costruendo gli eventi dell’Anno internazionale Onu e, magari, anche chi sta mettendo a punto la Conferenza del Cairo. Ma i segnali vanno in tutt’altra direzione e quando vengono resi noti i contenuti della grande assise non nasconde il suo disappunto. Il 19 marzo scrive ai Capi di Stato di Stato di tutto il mondo al segretario generale dell’Onu, ammettendo la sua “dolorosa sorpresa” per un’impostazione che mette tra sembra mettere tra parentesi il modello di famiglia tratteggiato dalla Chiesa : “L' unica risposta alla questione demografica e alle sfide poste dallo sviluppo integrale della persona e delle società sembra ridursi alla promozione di uno stile di vita le cui conseguenze, se esso fosse accettato come modello e piano d' azione per l' avvenire, potrebbero rivelarsi particolarmente negative”, osserva il Papa.

A luglio arriva anche l’intervento dei vescovi presidenti delle Commissione famiglia della Comece che esprimono preoccupazione per i contenuti nel Documento finale della Conferenza del Cairo, dove si ricorre formulazioni considerate ambigue, come il problema dei «diritti riproduttivi», la promozione della «salute riproduttiva» della «regolazione della fertilità» o della «maternità sicura» per introdurre – sostengono i vescovi - la legittimazione dell’aborto.

Questioni che papa Wojtyla riprende anche quell’8 ottobre di trent’anni fa, nel discorso inaugurale dell’Incontro mondiale, stigmatizzando il tentativo «di stravolgere il senso della famiglia privandola del naturale riferimento al matrimonio». Riconosce che «è ancora grande il compito che ci attende» e si rivolge direttamente alle famiglie, sollecitandole a impegnarsi «in questo tema decisivo che chiede la vigile e responsabile partecipazione non solo dei cristiani ma di tutta la società».

Sono passati trent’anni. I problemi che affliggono le famiglie sono diventati ancora più complessi e difficili, ma la sollecitazione all’impegno e alla consapevolezza di Giovanni Paolo II conserva tutta la sua forza. Non basta amare. Bisogna rendere testimonianza di quell’amore.

In occasione del trentesimo Anniversario dal I Incontro mondiale delle famiglie con Giovanni Paolo II nel 1994, il Dicastero laici, famiglia e vita ha diffuso un mini-documentario che, osserva il sottosegretario, Gabriella Gambino, può diventare “uno strumento pastorale che tutti potranno utilizzare nelle Diocesi e nelle Parrocchie per raccontare e ricordare i 10 Incontri Mondiali che in trent’anni sono stati celebrati in tanti Paesi del mondo. Nel video si respira la gratitudine immensa che noi tutti abbiamo per i tre Pontefici che fino ad oggi hanno reso possibili questi momenti ecclesiali, in cui le famiglie si sono sentite accolte, accompagnate, sostenute e riconfermate nella loro identità e nel ruolo che devono e possono avere nella Chiesa: un ruolo che – conclude Gambino - troppo spesso ancor oggi non sanno di avere”.