Adolescenti. Stanze della rabbia, non entrate in quella porta
Entrare e spaccare tutto quello che ci si trova davanti, a pagamento. È questa la “filosofia” delle Stanze della rabbia, nate in Giappone nel 2008, che da qualche anno cominciano a diffondersi anche in Italia: ce ne sono già a Milano, Torino, Genova, Bologna (addirittura per bambini da 5 a 9 anni con peluche, palloncini, giocattoli, bottiglie di plastica e giornali), vicino Bergamo, Barletta, Calenzano (Firenze), Napoli, Perugia, Palermo e Roma.
Obiettivo? Sfogare la propria aggressività da soli o in compagnia, usando piedi di porco o martelli o spranghe, rompendo oggetti, da piatti e bicchieri a dispositivi elettronici, vasi, mobili… Sfogarsi in questo modo “regolamentato” e in sicurezza (con tute, occhiali, guanti e caschetto di protezione) per circa 15 minuti ha un costo che parte da circa 20-30 euro, ma i costi aumentano a seconda di cosa si vuole rompere. Per i più narcisisti c’è anche la possibilità di richiedere il filmato integrale delle performance nelle camere insonorizzate, con tanto di playlist da ascoltare durante la distruzione sistematica. I gestori lo considerano un luogo “ludico” dove praticare un’attività divertente e antistress che aiuta a liberarsi delle tensioni accumulate sul lavoro, nelle relazioni sociali e nell’ambito familiare. Ma uno sfogatoio del genere non serve piuttosto a trasformare la rabbia in violenza? Lo abbiamo chiesto allo psicologo e psicoterapeuta Marco Scopel, veronese, esperto dell’età evolutiva e direttore del Centro clinico MetaLogica.
Cosa ne pensa di questa iniziativa? Che effetti può avere sugli adolescenti?
La stanza della rabbia nasce come un’attività per sfogo soprattutto per adulti. Di per sé potrebbe essere valida, quello che ci dobbiamo chiedere come psicologi è quale sia il fine di uno strumento del genere e che cosa può portare. Un conto è uno sfogo di rabbia fine a se stesso che può avere la valenza di uno sport ad alta intensità: pensiamo ad esempio a chi si allena per un’ora al sacco da box. Ma dobbiamo pensare: una volta sfogata la rabbia, cosa succede? Uno strumento del genere utilizzato da adolescenti può anche avere un valore se poi viene fatto un lavoro di rielaborazione della rabbia e delle emozioni provate, altrimenti sono fini a se stesse e banalmente un adolescente avrebbe bisogno di una stanza della rabbia ogni giorno per sfogarsi. La stanza della rabbia, quindi, potrebbe non essere lo strumento più indicato.
Quali sono i modi corretti per esprimere e gestire la rabbia negli adolescenti? Come guidarli e formarli in proposito?
Al di là dell’esercizio fisico in toto, ci sono altre strategie molto più tranquille per imparare a gestire la rabbia: forme di pratiche meditative, mindfullness, respirazione, esercizi di scrittura emotiva in cui andiamo a scaricare le emozioni da tarare a seconda dell’adolescente che abbiamo davanti. È importante favorire comunque un ambiente di comunicazione con l’adolescente, per capire come mai ha bisogno di esprimere in qualche modo la rabbia, dove ha origine e come mai si è sviluppata, non solo per sapere come contenerla, ma anche per sapere dove intervenire per evitare che abbia una determinata intensità. Bisogna stabilire delle regole di gestione ed espressione della rabbia, fino a che punto e in che forma, perché alcuni comportamenti possono essere accettati e accettabili mentre altri no. Quindi la rabbia non può essere incontrollata, come avviene nella Stanza della rabbia, perché devono esserci comunque dei confini entro cui muoversi.
In generale, come imparare a gestire le emozioni negative e a trasformarle in energie propositive?
Per adolescenti e adulti ci sono diversi punti da tenere in considerazione per questo tipo di processo. Alcune pratiche le abbiamo già citate: mindfullness, respirazione, meditazione. Anche il cercare un sostegno a livello di rete sociale è utile: spesso le emozioni negative nascono anche da situazioni di solitudine e di scarso sostegno sociale. Possiamo coltivare il più possibile attività che ci gratificano, hobby, interessi e passioni personali. Mi sentirei di aggiungere, ad esempio, una sorta di “cambio di prospettiva”: tante volte anche solo parlare con un amico o un’autoanalisi/riflessione personale ci può dare un taglio diverso della situazione che stiamo attraversando e ci può far provare emozioni differenti che non sono più negative come le precedenti ma virino verso un lato più positivo e propositivo. Infine, un sostegno professionale: nel momento in cui tentiamo il sostegno sociale (famiglia, amici) e soluzioni individuali per gestire e controllare le nostre emozioni negative e trasformarle, ma non ci portano al risultato sperato, uno psicoterapeuta può supportare verso un cambio di prospettiva rafforzato.