Orfani. «Parlate della morte ai piccoli. Il silenzio è più lacerante»
Il dolore di un padre con i propri figli
La morte di un genitore è un fatto irreversibile: il padre, la madre scomparsi non torneranno mai più in vita. E’ una fatto che un bambino non è ancora pronto ad accettare. Del resto questo evento mette a dura prova le relazioni tra i famigliari, rendendone difficile la condivisione e inducendo ciascuno a chiudersi e isolarsi in un silenzio che priva il bambino dell’aiuto indispensabile per elaborare in modo attivo e positivo il lutto. Così, spesso anche il bambino, proprio in una età in cui è più difficile comprendere la perdita di un genitore, vive in solitudine la propria sofferenza. Gli adulti sperano invece che proprio il loro silenzio lo protegga dall’impatto con la morte e con il dolore della perdita. Si evita il discorso, si cerca di distrarlo, di fingere che la vita sia ancora quella di prima.
Il bambino, al contrario, di fronte alla prostrazione e al silenzio del genitore superstite, al radicale cambiamento dell’atmosfera famigliare che anche i più piccoli percepiscono nettamente, tende a non fare domande per non ferire ed allontanare chi è ancora presente. Ignorando spesso anche le cause della morte, attribuisce a sé stesso la responsabilità e la colpa di quanto accaduto. Le sue energie, destinate alla crescita, vengono così assorbite da questo evento incomprensibile. Si produce di frequente un blocco evolutivo. Come, allora, prendersene cura? Come aiutare il bambino e l’adulto ad affrontare questo evento in modo che lo sforzo condiviso per superarlo rafforzi il loro legame e questo consenta al bambino di riprendere il suo percorso evolutivo, tornare ad investire le risorse nella crescita e nelle questioni tipiche dell’età?
Lo chiediamo a Costanza Marzotto del servizio di Psicologia Clinica dell’Università Cattolica di Milano, portavoce di un progetto che vede coinvolti più gruppi di ricerca a Napoli, Roma oltre che nella stessa Milano. Tali team clinici, già esperti nella conduzione dei Gruppi di parola per figli di genitori separati, stanno ora estendendo questa tecnica anche a bambini che hanno subito la morte di un genitore. Si tratta di bambini che stanno affrontando un evento naturale, quale una morte per malattia. Si escludono casi di morti violente, come ad esempio omicidi, che possono richiedere da subito un intervento specialistico mirato. Tale sperimentazione, che ha avuto una sua prima pionieristica edizione nel 2014 ad opera di Marta Bonadonna, è attualmente promossa e sostenuta dall’Autorità garante per l’Infanzia e l’Adolescenza (Agia), che ha già coinvolto, oltre alle sedi milanese e romana dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, anche il consultorio famigliare della fondazione EOS di Napoli.
Cosa vi ha convinto a proporre i Gruppi di parola anche a bambini e genitori che soffrono per la morte di un famigliare?
La constatazione di quanto sia difficile per la famiglia percorrere questa dolorosa seppur naturale transizione. L’adulto infatti ha spesso difficoltà a parlare con il figlio della morte di un membro della famiglia, tende a chiudersi nel suo dolore ed evitare di coinvolgere il bambino, per proteggerlo e proteggersi dalla sofferenza. Gravato dalle responsabilità e dalle novità cui deve far fronte, che spesso lo obbligano ad accantonare i propri vissuti emotivi, si ritrova frequentemente senza risorse, nè tempo e spazio, per aiutare il bambino ad affrontare questo evento. L’adulto stesso ha bisogno di supporto per affrontare la perdita e per potere a sua volta supportare il figlio. Fondamentale quindi creare le condizioni perché possa svolgere il suo ruolo specie quando, concluso il ciclo di incontri di gruppo, sarà proprio lui il naturale garante della prosecuzione del lavoro che noi avremo avviato con il bambino. Per favorire il passaggio del testimone dal conduttore del gruppo al genitore, è stato previsto un gruppo di parola anche per i genitori, che procede in parallelo con quello dei bambini.
Come accompagnate il bambino e il genitore in questa difficile transizione
Innanzitutto si mira a offrire uno spazio di parola e di ascolto in cui possano sentirsi accolti e legittimati ad esternare e a condividere la propria esperienza. Si cerca, poi, fin dal primo incontro, di mettere in parola ciò che è accaduto, cominciando così a togliere quel velo di silenzio che spesso cala sull’evento e sulle emozioni ad esso associate, difficili da esternare, come il senso di colpa, di vuoto, di solitudine, i rimpianti, i timori e le domande per il futuro. Riuscire a parlare della perdita subita rende meno lacerante il dolore, diventa così possibile già nel gruppo cominciare a curare il ricordo della persona che ci è venuta a mancare, scegliere e archiviare nella nostra memoria i momenti speciali che abbiamo vissuto insieme, che raccontano della relazione con lei; condividere questi ricordi con gli altri. In questo modo questa prima esperienza diventa replicabile anche in contesti diversi dal gruppo.
Il fattore protettivo dalla sofferenza è dunque la parola non il silenzio.
Lo è sempre, anche nei mesi che seguono. L’obiettivo è proprio di creare le condizioni perché genitore e figlio continuino, nei mesi successivi, concluso il lavoro di gruppo, a condividere il dolore vissuto; a nominarlo e non tacerlo anche con chi, in futuro, entrerà nella loro vita. Non si tratta di dimenticare la persona mancata, ma di ri-creare con lei una nuova, diversa connessione, portando avanti i suoi valori, i suoi principi, facendo tesoro di quello che ci ha lasciato e con questa eredita’ tornare a investire nel futuro e in nuove relazioni.
L’avvio della sperimentazione, già partita a Roma e Napoli, è imminente anche a Milano, chi segnala i bambi e i loro caregivers?
Contiamo sui pediatri di famiglia, sugli operatori dei consultori famigliari, sugli insegnanti. Segnalazioni stanno pervenendo da sacerdoti che avevano celebrato il rito funebre così come da genitori che avevano già usufruito dei gruppi di parola per bambini di coppie separate.
I gruppi milanesi per bambini di 6-12 anni e per adulti partiranno a breve. Si svolgeranno presso il servizio di Psicologia Clinica, in via Nirone, 15. Per informazioni e iscrizioni scrivere a: serviziocoppiafamiglia@unicatt.it