“Questo posto non è come il quartiere, dove pensi solo a bere e fumarti una canna. Io, che facevo le rapine, qui ho imparato a riflettere, ho capito che ho sbagliato e ho fatto male non solo a me stesso ma anche a chi mi vuole bene, soprattutto alla mia famiglia”. Luca, nome di fantasia, racconta in un video l’esperienza che sta vivendo in Sicilia in compagnia di altri ragazzi come lui, alle prese con i propri errori e il compito di porvi rimedio. Si ritrovano immersi nella natura, salgono sull’Etna, toccano le rocce vulcaniche, e intanto dimenticano sigarette e cellulari. Trascorrono giorni tra le biciclettate, il trekking, le grigliate. Ma ci sono anche i momenti spesi a pulire gli alloggi e preparare da mangiare per tutti. “Perché sono i gesti semplici che aiutano a ritrovare il senso del rispetto e della gentilezza”, dice a voce alta don Antonio Mazzi aprendo il convegno “Tessere le trame complesse”, tenuto giovedì scorso a Milano, nella Cineteca MIC di viale Fulvio Testi 121. Un incontro promosso da Fondazione Exodus proprio per riflettere sull’importanza e l’urgenza di proposte di esecuzione penale alternative alla detenzione per i più giovani. Per dimostrare che, oltre al carcere, esiste un’altra possibilità di correzione e di riscatto per gli adolescenti che hanno commesso reati. “È con la semplicità che dobbiamo rovesciare un sistema che punta ancora sulle misure repressive, perché anche il carcere migliore non è la migliore risposta”. La risposta invece sta nell’incontro possibile tra giustizia e educazione. Un traguardo sociale per la onlus di viale Giuseppe Marotta, da 35 anni all’avamposto nel recupero dei ragazzi che vengono dall’inferno della tossicodipendenza e del disagio. Lo fa ispirandosi al principio educativo del suo fondatore, don Antonio Mazzi. Secondo il sacerdote il cambiamento e la maturazione avvengono attraverso esperienze concrete, come lo sport, la musica, il teatro. E soprattutto il viaggio, cuore del progetto educativo. Su questo principio poggia il modello Carovana, programma itinerante per minori sottoposti a misure restrittive da parte dell’Autorità Giudiziaria, nato nel 2020 per contrastare la devianza in maniera integrata e multidisciplinare. Sono 100 i ragazzi coinvolti in questo quadriennio di sperimentazione, 15 quelli che hanno partecipato all’ultima spedizione, in Sicilia. Hanno un’età compresa tra i 14 e i 18 anni, li accompagnano provvedimenti di natura penale in carico ai Servizi della Giustizia Minorile. In ogni Carovana è presente una squadra di educatori e di formatori che restano sempre in contatto con i Servizi Sociali di riferimento.
“In quattro anni di attività”, riferisce Franco Taverna, responsabile nazionale del progetto, “abbiamo imparato che le esperienze reali sono ben più efficaci di ogni pena e restrizione nel restituire a questi giovani il significato della gentilezza e della responsabilità delle proprie azioni”. Un rinnovamento che non può venire dalle pene, concordano tutti i relatori presenti, ma dalla vicinanza di adulti di riferimento che aiutino i ragazzi a diventare migliori. Lo ribadisce Cettina Bellia, già direttrice dell’Ussm, Ufficio di servizio sociale per i minorenni di Caltanissetta. “Un ragazzo devia perché qualcosa è andato storto nel suo sistema di relazioni, nel disagio si nasconde sempre la rottura dell’armonia con il mondo esterno. Ecco, aiutare il minore a ricostruire quell’equilibrio andato in frantumi è il compito di noi adulti”. Intercettare questo bisogno e sostenerlo è quindi cruciale per chi vive vicino a ragazzi e ragazze che hanno commesso reati. “A cominciare dalle famiglie”, raccomanda don Antonio. “Il nostro progetto Carovana è concepito perché anche loro possano essere coinvolte in questa esperienza educativa, condividerla con i figli e gli educatori. Conflitti e distanze che sembrano troppe volte irrisolvibili possono ridimensionarsi se il dialogo avviene in un contesto diverso, più sereno”.Don Mazzi invita mamme e papà a non accettare mai il fallimento, anche quando sembra impossibile sintonizzarsi sui pensieri dei propri figli e accettare i loro comportamenti. “Dobbiamo renderci conto che l’adolescenza è profondamente cambiata negli ultimi anni. C’è una fragilità sottile e nascosta nell’animo dei giovanissimi e noi adulti dobbiamo accoglierla, non respingerla. Anzi”, aggiunge l’educatore, “dobbiamo utilizzarla come una leva educativa. Si deve attingere proprio dalle insicurezze e dalle vulnerabilità per indicare loro il senso del cammino, come insegnano le nostre carovane. “Il viaggio è avventura, non è una scuola. Può succedere di tutto durante il percorso. Questo insegnamento va trasmesso ai ragazzi: potrete sbagliare, ma sarete nel giusto se riconoscerete i vostri errori e riuscirete a convivere con i vostri limiti, sforzandovi di rinnovarvi ogni giorno. Tutto passa attraverso l’educazione”, conclude don Antonio. “Non servono celle, ma luoghi e relazioni, per capire che esistono modi diversi di vivere e che ci sarà sempre un’occasione nuova per ricominciare”.