Famiglia

Genitori. "Non ce la faccio più. Chiedo aiuto a una mamma alla pari"

Barbara Garavaglia mercoledì 24 aprile 2024
Per molte è il primo bambino che tengono tra le braccia. Un piccolissimo essere umano, leggero, delicato, dipendente totalmente dagli altri per sopravvivere. Un piccolo essere umano, in quest’ottica, “pesantissimo” da portare. Il neonato mangia, dorme, a volte piange: tutto è nuovo per i genitori, tutto è nuovo per il bambino. Le domande si susseguono nella mente dei neo genitori. Quel pianto sarà eccessivo? Sarà il sintomo di un malessere? Si attacca bene al seno per la poppata, oppure non mangia abbastanza e incamera aria? Sarò una buona mamma anche se allatto con il biberon? Capita anche ad altri che il bimbo si svegli ogni due ore per mangiare? Coperta, berretta, calzine, oppure body e golfino? Ciuccio? Sarò incosciente a uscire con il vento? E se lo svezzamento non funzionasse, come potremmo fare?

Tutto ruota attorno alla diade mamma-bambino, in teoria. La mamma che ha tra le braccia, nella mente, in ogni fibra del proprio corpo il bambino, è stanca – come potrebbe non esserlo, dato anche lo scarso ricorso al congedo parentale -, ha anche una casa a cui prestare un po’ di attenzione, una dispensa da riempire, un lavoro che spesso non riesce a mettere in pausa. Come sarebbe bello se il parente di turno passasse uno straccio sul pavimento, ritirasse la biancheria asciutta, portasse, perché no, una teglia di lasagne da poter utilizzare in caso di emergenza. Invece capita sovente che dispensi consigli non richiesti su pappe, nanne, coccole, senza entrare nella concretezza oppure nella discrezione che caratterizza un aiuto fruttuoso.

Ci sono sempre più donne che vivono lontane dai parenti e dagli amici e che affrontano la maternità da sole.

L’esigenza di avere un aiuto è chiara, ma non sempre si incanala in una richiesta di sostegno. Un sostegno magari fornito da chi ha vissuto lo stesso cambiamento, in tempi recenti. Un aiuto “alla pari” che non metta a disagio, non faccia sentire mancanti e inadeguati, ma che rafforzi, rincuori, che dia consigli davvero utili.

Esiste anche in Italia una rete di “mamme alla pari”, figura prevista da Oms-Unicef. Sono donne che seguono percorsi di formazione e che si mettono a disposizione, gratuitamente, di altre mamme per accompagnarle, sostenerle, consigliarle, soprattutto nei primi mesi di vita del bambino. Spesso legate a consultori, ospedali, a realtà che si occupano di favorire l’allattamento al seno, queste mamme alla pari, che non sostituiscono figure professionali specifiche, si affiancano alle madri, portando anzitutto la propria esperienza, riuscendo così a sfondare la barriera della solitudine, delle paure grandi o piccole che possono attanagliare i pensieri di una donna che ha da poco dato alla luce un figlio.

Sentire raccontare che anche altre donne hanno un bimbo che si sveglia o che rigurgita, avere accanto qualcuno che ti consiglia su come provare a svezzare il bambino, che ti offre un suggerimento sul cibo, sull’abbigliamento, sulla cura del corpo, diventa importante.

“È una figura preziosa – rimarca Giorgia Cozza, giornalista, autrice di libri dedicati alla genitorialità e alle maternità -, non ancora abbastanza conosciuta, che si può maggiormente diffondere. È preziosa proprio perché le mamme sono oggi molto sole. La realtà di molte mamme è questa, con la famiglia di origine lontana, oppure con genitori ancora impegnati col lavoro oppure non danno quel tipo di sostegno di cui la mamma avrebbe bisogno. Infatti può capitare che i parenti offrano consigli non utili, se non critiche e giudizi, e manchi quell’aiuto pratico che sarebbe necessario”.

“Ci sono anche parenti ben intenzionati – prosegue Cozza - ma le informazioni che ha a disposizione la nonna di oggi, talvolta non sono aggiornate. Quando loro sono diventate mamme c’erano altri approcci alla genitorialità e altre indicazioni. Ci sono anche pregiudizi rispetto alle coccole, al contatto fisico. Perché il bimbo ha bisogno di latte, ma anche di coccole per crescere e per crescere bene. E una mamma si sente dire che lo vizia…”.

Le neo mamme di oggi si trovano di fronte anche a un’altra realtà, ovvero quella del disfacimento di una rete parentale e amicale che un tempo era più presente. “C’era un tempo – aggiunge Giorgia Cozza – anche un patrimonio di conoscenze che si tramandava. In più le mamme sono sole perché i padri sono partecipi e coinvolti nella cura dei bambini, anche molto piccoli, ma il congedo per i papà è di dieci giorni e quindi, all’undicesimo giorno di vita del figlio, la maggior parte delle madri italiane si trova da sole, in casa, col neonato, dalla mattina alla sera. È meraviglioso, certo, ma è anche molto impegnativo a livello fisico, mentale. Una mamma alla pari, in questo quadro, è davvero una figura preziosa”.

Mettersi al fianco di chi è da poco genitore, diventa importante, essere lì senza pregiudizi e senza pretese è fondamentale: “Lei sa, conosce la tua stanchezza, i tuoi dubbi, la tua paura di sbagliare, perché l’ha vissuta da poco – specifica Cozza -. Le mamme alla pari sono persone formate su temi di allattamento e accudimento. In più questo è un supporto volontario, quindi anche chi è in un momento di fatica finanziaria può, senza esitare, chiedere aiuto”.

Sorge però una domanda, ovvero se sia naturale domandare aiuto: “Purtroppo no. Tante mamme temono che chiedere aiuto sia sintomo di una inadeguatezza. Questo perché viviamo in una società che butta sulle madri delle aspettative irrealistiche. Sei mamma – conclude Cozza -? Devi essere sempre felice, super efficiente, devi essere sempre al massimo. Puoi dire di essere stanca? Purtroppo non è così”.

Alessandra Jerman è una “mamma alla pari” di Trieste; una mamma alla pari, o meglio, come ella stessa si definisce: “Quella sorella che non hai”. Perché attorno alle neo madri e in generale ai neo genitori, spesso, manca quel tessuto sociale, quel “villaggio” con cui condividere l’avventura della genitorialità. “Un primo gruppo di volontarie – racconta Alessandra Jerman – nacque nel 2014 quando l’Azienda sanitaria, per diventare comunità amica dei bambini dell’Unicef, ha dovuto compiere dei passi; uno di questi era appunto la “rete”. Ci siamo formate… Pian piano abbiamo sentito l’esigenza di diventare comitato e poi, nel 2018, associazione. Attualmente siamo una ventina di soci e quindici volontarie. Abbiamo risposto a una esigenza provata, perché siamo tutte donne che hanno provato diversi tipi di allattamento. Abbiamo tutte compreso che, quando diventi mamma, ti si apre un mondo: puoi leggere, informarti, ma ti sentirai comunque un po’ disorientata. Tante volte nella comunità odierna manca quello che era una volta il villaggio. Come mamme alla pari continuiamo a formarci, anche perché le mamme oggi sono preparate. Non ci sostituiamo mai ai sanitari, ma rimandiamo al professionista di riferimento. Diamo il consiglio di “chi ci è già passato””.

Come specifica questa “mamma alla pari”, il dato caratterizzante è quello della solitudine. Basta poco, perciò, un pensiero, un consiglio, qualcuno pronto a condividere un pezzo di strada per far riemergere dalla fatica: “Sapere che c’è un orecchio che ti ascolta, perché a volte si risolvono le cose con una telefonata, è importante. Alla mamma spesso basta il sentirsi libera di esprimersi, senza sentirsi addosso un giudizio. Oltre a consulenze personali, facciamo incontri mensili su temi caldi, come il sonno, le pappe. In questi anni cresce la frequentazione dei papà e anche delle nonne. Durante il Covid, facendo incontri on line, si collegavano anche i neo padri. Caldamente invitiamo sempre agli incontri tematici più persone, come le nonne che accudiscono i bimbi e che quindi possono aggiornare le loro conoscenze. Tutto perché chi sta attorno alla mamma non sia di ostacolo, ma sia un vero aiuto”.

Il gruppo di Trieste è entrato in contatto, lo scorso anno, con circa duecento donne. Non sempre però le mamme hanno la determinazione di chiamare, di entrare in una rete di supporto: “A volte però – aggiunge Alessandra – ci chiamano anche papà, o nonne perché osservano qualcosa nella neo mamma. E questa attenzione nel cogliere una difficoltà nella donna, diventa già positiva. Si appianano piccoli conflitti, si risolvono piccole situazioni stressanti. Il nostro aiuto è un sostegno morale, è essere quella sorella, quella cugina che non hai, che portava quell’esperienza che non si ha maturato. Il nostro servizio è impegnativo, ma gratificante. Siamo un anello importante, in un’epoca in cui manca il “villaggio” di riferimento”.