Famiglia

Fragilità. «Marta, mia figlia Down e quel discorso all'Onu»

Antonella Galli martedì 19 marzo 2024

Marta Sodano

Supponi che io possa studiare, lavorare, innamorarmi, fare sport, dedicarmi alla musica, essere indipendente… Supponi che io possa. E così, forse, io potrò. Perché, se credi in me, se mi dai fiducia, potrai avere un impatto positivo sulla mia vita e allora, forse, io potrò raggiungere i miei traguardi, realizzare i miei sogni. Anche quelli inaspettati.

Assume that I can - supponi che io possa - è questo il tema della campagna di sensibilizzazione internazionale lanciata da CoorDown (il Coordinamento nazionale delle Associazioni delle persone con sindrome di Down, n.d.r.) in occasione della Giornata Mondiale sulla sindrome di Down, che si celebra il 21 marzo.

L’obiettivo è quello di abbattere i pregiudizi che ancora limitano la vita di chi ha una disabilità intellettiva e combattere la cultura che determina la discriminazione, per sostenere le concrete potenzialità di ogni persona con la sindrome di Down.

A ispirare il video della campagna, è stato il discorso che Marta Sodano ha pronunciato qualche anno fa a New York, alle Nazione Unite, proprio in occasione del World Down Syndrome Day.

Nel suo intervento, Marta ha parlato dell’importanza della scuola, delle difficoltà e delle conquiste dello studio, del valore dell’istruzione per inserirsi nella società e trovare un lavoro gratificante. Con le sue parole, però, ha voluto anche sottolineare come sia importante “cambiare prospettiva”, per far sì che nella nostra società si realizzi davvero, per tutti, una vera inclusione.

E nella storia di Marta, i “cambi di prospettiva” sono stati fondamentali. Perché chi ha creduto in lei, chi ha saputo vedere Marta, e non la sua sindrome, le ha dato ancor più determinazione nel raggiungere i suoi obiettivi.

La prima a sostenerla è stata Laura, la sua mamma, che per descriverla usa tre aggettivi: curiosa, generosa e testarda. “Testarda sì, in tutte le sfumature del termine… Come dice una canzone di Gianna Nannini, quando è nata, Marta, ha spostato tutti i miei confini. Fino a portarmi a New York, al Palazzo di Vetro. Con lei, io mi sono comportata come fanno i contadini: ho seminato molto e poi ho aspettato con fiducia di vedere che cosa sarebbe cresciuto. Ho avuto pazienza e il raccolto è stato ricco, perché in Marta sono fiorite tante possibilità. Sin da quando era piccolissima ho pensato che, se anche lei non fosse stata pronta a capire il mondo, se io glielo avessi spiegato sempre, in qualsiasi occasione, per lei sarebbe stato più semplice riuscirci. Così, l’ho “circondata” di forme, colori, sapori, consistenze, profumi. Sono diventata la sua “cronista”: le raccontavo tutto ciò che accadeva intorno a lei e cercavo di renderlo il più chiaro possibile. E mi sono resa conto che facilitarle la comprensione le permetteva di crescere e di conoscere sempre meglio la realtà”.

“Io non penso che ci siano concetti facili e concetti difficili. Credo che ci sia sempre un modo semplice di spiegare tutte le cose” sottolinea Marta. “Certo, bisogna volerlo fare. E se ripenso alle cose che non mi sono state spiegate e insegnate, questo mi fa arrabbiare. Durante il mio percorso scolastico anch’io, purtroppo, ho incrociato docenti convinti che non potessi capire. Erano loro, però, a non capire che era proprio questo preconcetto a impedirmi di seguire le lezioni e a creare una distanza fra me e i miei compagni. Invece di includermi, mi allontanavano”.

“Invece di impegnarsi per aiutarmi a entrare nella loro materia – prosegue - non mi consideravano capace. E non mi insegnavano nulla. Per fortuna, però, ho avuto anche tanti incontri positivi. A cominciare dalle elementari, con la mia insegnante di sostegno e con quella di inglese. Lei era molto buona, gentile e, soprattutto, sapeva che io avrei potuto imparare una lingua straniera. E ha saputo insegnarmela. Ancora, il mio professore di matematica alle scuole medie. Io ho qualche difficoltà con i numeri ma lui si è chiesto che cosa avrebbe potuto comunque trasmettermi. Ha cercato un’“ispirazione” e mi ha insegnato a usare Excel, che oggi mi è molto utile nel mio lavoro”.

“E poi – dice ancora Marta - i professori di psicologia e di diritto alle superiori. Loro hanno saputo vedermi per ciò che ero, per il mio essere Marta e nient’altro. L’insegnante di psicologia mi ha sempre incluso nelle sue lezioni, mi faceva domande, chiedeva il mio parere. Proprio come l’insegnante di diritto, che mi spiegava con grande cura ogni concetto. E, se non capivo una cosa, me la rispiegava senza arrendersi mai. Mi hanno dato fiducia e mi hanno fatto amare le loro materie”.

“Il cammino scolastico è questione di fortuna e molto dipende da chi si incrocia. Se penso alle tante battaglie che ho dovuto affrontare, non posso che essere grata all’insegnante di sostegno che Marta ha avuto alle elementari” riprende Laura. “Ha creduto in lei e abbiamo lavorato tanto insieme, convinte che, se le avessimo dato delle basi solide, se l’avessimo inclusa in tutto quello che facevano gli altri bambini, lei avrebbe avuto davvero la possibilità di costruire qualcosa su quelle fondamenta. Ha lottato tantissimo perché voleva che Marta fosse davvero inclusa nel lavoro della classe. E questo le ha garantito cinque anni importanti e fondativi, non solo per apprendere ma anche per sviluppare fiducia in sé stessa e nelle sue capacità”.

Nella storia di Marta, un altro tassello importante è stata la capacità di Laura di trovare una bussola che la guidasse e le desse fiducia nel crescere una figlia che poteva avere delle esigenze speciali.

“Avevo bisogno di qualcuno a cui fare riferimento e il mio faro è stato sin da subito l’AGPD - l’Associazione Genitori e Persone con sindrome di Down - dove il confronto con altre famiglie che avevano già vissuto o stavano vivendo la stessa esperienza mi ha dato grande supporto.

Insieme, abbiamo fatto un percorso che ha dato a Marta gli strumenti per costruire la sua autonomia. E a me la serenità per accompagnarla nel miglior modo possibile. Con l’Associazione, abbiamo combattuto anche per far sì che Marta potesse sostenere l’esame di maturità insieme ai suoi compagni di classe. Adducendo la scusa di non volerla mettere sotto pressione, la scuola avrebbe voluto che sostenne l’esame da sola. Noi, invece, pensavamo che per lei sarebbe stato giusto e gratificante concludere le superiori con gli amici con cui aveva condiviso gli anni di studio. E non ci sbagliavamo, perché ha sostenuto l’esame egregiamente”.

Dopo la scuola, Marta ha iniziato il suo percorso lavorativo. Ha fatto diverse esperienze e dal 2019 lavora in un’azienda dove si occupa della documentazione per il trasporto e la logistica.

“Il mio lavoro mi piace. E i miei superiori e i miei colleghi hanno molta fiducia in me e mi aiutano a crescere affidandomi nuovi compiti. Quando hanno saputo che sarei andata a New York per tenere un discorso alle Nazioni Unite, erano tutti entusiasti. E alcuni di loro sono venuti con me, per sostenermi. Credono in me e mi apprezzano per ciò che sono e per le mie capacità.

C’è un’amica che mi ha insegnato una cosa meravigliosa: non c’è niente di più bello al mondo che essere sé stessi. E io sono contenta di essere Marta, così come sono”.

Con buona pace di chi, ancora, vuole vedere solo la diversità e non sa cogliere le possibilità. Perché il problema è negli occhi di chi guarda. Non certo in Marta e nei suoi sogni per il futuro, che siamo certi farà di tutto per riuscire a realizzare.