Intervista. «Io, mamma e presidente del Salone del mobile. Vi racconto i Porro»
Maria Porro con suo padre Lorenzo (a sinistra in primo piano) e coi i cugini Giovanni, Danilo e Fabio
Se fosse un’unità di misura conosciuta ai più, lo spessore d’un tranciato da impiallacciatura, darebbe plasticamente conto della sottilissima linea che tiene da sempre tutto in equilibrio a casa Porro. Dove il tranciato è quel foglio di legno di pregio (palissandro, teak o rovere) che viene applicato con una pressa a caldo sulla superficie di un mobile per dargli un aspetto migliore, più naturale. E casa Porro è il cuore dell’industria costruita in Brianza dalla famiglia di artigiani del mobile tra le più celebri d’Italia.
Il suo volto più giovane, che è già finito sulle copertine dei giornali di mezzo Pianeta, è quello di Maria: classe 1983, mamma di tre figli, direttrice Marketing e comunicazione di Porro S.p.a., prima donna presidente di Assarredo (l’associazione nazionale delle industrie produttrici di mobili), prima donna presidente del Salone del Mobile, è lei a raccontare ad Avvenire di come tutto “si tenga” in una famiglia – e in un’impresa di famiglia –, di come i valori possano tramandarsi di generazione in generazione senza lasciarsi travolgere dalle differenze anagrafiche, dalle innovazioni tecnologiche, dal mondo che cambia di continuo là fuori. E di come il nuovo polo produttivo di Montesolaro, dove pure si lavora il legno coi macchinari, sia talmente pulito da aver convinto chi lo visita che gli operai prima d’entrarci siano obbligati a togliersi le scarpe.
È davvero così?
Nient’affatto ovviamente. Ma un collega me lo ha chiesto qualche tempo fa, col volto serio, a una fiera di design a Copenaghen: «Ah sei una Porro? Ma è vero che...?». Mi è venuto da ridere. La verità è che teniamo moltissimo alla pulizia, siamo da sempre convinti che si debba lavorare in un ambiente salubre, ordinato, bello, sicuro. È il motivo per cui abbiamo trasformato la nostra sede storica di Montesolaro (in Brianza, ndr): il suo perimetro è completamente circondato da vetri, il tetto da un lato è coperto di pannelli fotovoltaici, dall’altro sempre di vetri. I nostri 125 dipendenti lavorano ogni giorno dell’anno soltanto nella luce naturale, non usiamo energia elettrica. Con la luce naturale è molto più facile vedere i difetti del legno, per altro.
Lei, il legno, lo avrà visto in casa fin da quando era bambina. Quando e come è cominciato tutto?
Nel 1925, quindi molto prima della mia nascita, con una cooperativa fondata dai miei bisnonni artigiani Giulio e Stefano e grazie all’intervento del parroco della chiesa locale. Facevano mobili, ma nel primissimo laboratorio accanto alla casa di famiglia, che era molto piccolo, c’era anche spazio per i graticci e i bachi da seta per la produzione di filati. Ci fu la guerra, poi gli anni del boom economico: serviva uno spazio più grande, si decise di abbattere il fienile e di costruire quella che a tutti gli effetti assomigliava a una piccola industria. Toccò a nonno Carlo portarla avanti, con Silvio e Arturo, e col supporto di nonna Flora e zia Lina nella parte dei filati. I miei primi ricordi sono proprio di nonno Carlo: selezionava di persona il tranciato per l’impiallacciatura, e quella di incollare fogli di pregio sui mobili fu la prima svolta per lavorare con gli spessori la materia viva del legno, di per sé soggetta al rischio d’imbarcarsi. Ricordo quelle carte di legno, gli scarti che s’accumulavano nelle scatole e con cui giocavo. Amava il piano, anche, mio nonno e soffrì molto quando a causa degli infortuni di lavoro perse alcune dita e non poté più suonare. Anche allo zio Silvio mancavano delle dita: in passato era normale per chi lavorava col legno. Poi sono arrivati mio padre Lorenzo, con la visione da architetto, i miei cugini Danilo, Fabio e Giovanni a portare la tecnologia e l’informatica. Oggi siamo un’azienda molto all’avanguardia.
Una foto in bianco e nero di famiglia negli anni Cinquanta - Porro S.p.A.
Ha cominciato subito in azienda?
No. Mi sono laureata in scenografia, per 10 anni ho lavorato nel mondo del balletto, degli spettacoli e del teatro, girando il mondo. Poi, quando è nata la mia seconda bambina, con mio marito abbiamo deciso di stare in Italia, avevamo bisogno dell’aiuto dei nonni. Ma erano già due anni che avevo cominciato a capire che il design mi coinvolgeva.
Quindi non s’è trattato di un obbligo...
Affatto. Mio padre e mia madre, che sono entrambi architetti, mi hanno sempre lasciato libera di scegliere. In questo sono stata fortunata.
E come la mettiamo col fatto che è una donna? C’era mai stata una donna in azienda prima?
Accennavo poco fa a mia nonna e mia zia. Io sono stata la prima ad avere un ruolo dirigenziale, sì, e poi la prima donna quando da Federlegno mi hanno scelta come presidente di Assarredo, la prima presidente del Salone del mobile. Ma non ho vissuto tutto questo come una cosa straordinaria. Certo, il problema lo vedo, lo vedo tutte le volte che sono in una sala riunioni, circondata da uomini, e tutti si stringono le mani tra loro prima di scoprire che l’unica donna presente è – guarda un po’ – “il presidente”. Il limite è loro, però, non mio.
Il polo produttivo Porro di Montesolaro, in Brianza - Porro S.p.A.
Come si fa ad essere mamma e fare il suo mestiere?
Si incastra tutto. I miei figli hanno 8, 7 e 4 anni, cerco di trovare il tempo per loro. E mio marito mi aiuta. Viviamo in quella casa di famiglia dove è iniziata la storia della Porro, a Montesolaro. Due giorni alla settimana, qualsiasi cosa accada, in qualsiasi posto del mondo io debba andare, da Shanghai a New York, rieccomi a casa, rieccomi in azienda.
Cosa è stato o è difficile nel gestire un’impresa di famiglia?
Anche in questo caso incastrare tutto, o meglio tenere tutto insieme trovando sempre un nuovo punto d’incontro. Le visioni degli anziani e dei giovani, dei nonni e dei nipoti, la maestria artigianale e i processi automatizzati, gli anni buoni e quelli difficili che abbiamo vissuto – tutto il comparto del mobile in realtà – dopo la pandemia e con l’inflazione, con l’aumento delle materie prime e il ruolo emergente della Cina. L’impresa va avanti grazie ai valori in cui credono tutti i componenti della famiglia, esattamente come il mondo dell’arredo italiano va avanti solo grazie all’associazionismo, al muoversi facendo sistema tutti insieme credendo nel valore del made in Italy. In questo, io, credo moltissimo.
Alcuni mobili di design prodotti dall’azienda, che ha showroom in centro a Milano ea New York - Porro S.p.A.
In qualche modo, del design italiano, lei ora è anche il volto più conosciuto nel mondo. Ne è fiera?
Sono più fiera del progetto che abbiamo avviato col ministero dell’Istruzione, adottando da due anni la Scuola di design, legno e arredo Enaip Lombardia di Cantù. I nostri dirigenti e i nostri dipendenti fanno lezioni, gli studenti vengono in visita nel nostro polo produttivo e accedono a progetti di alternanza scuola-lavoro. Il genio creativo e artigianale che contraddistingue il nostro Paese e la nostra cultura dai tempi di Leonardo è qualcosa che va trasmesso e tutelato: la conoscenza del materiali, l’uso delle mani, la capacità di collegare un’idea astratta alla sua realizzazione è un patrimonio straordinario da consegnare ai nostri giovani. Non a caso il logo della nostra azienda è disegnato da Bruno Munari: lui credeva nell’educazione alla manualità dei bambini in età prescolare. Io sogno un’ora di creatività in tutte le scuole primarie d’Italia.